3 maggio, giornata del coraggio e della libertà di pensiero e di parola

“La libertà è partecipazione recita il testo di una popolare canzone di Giorgio Gaber e quando si parla di libertà e di partecipazione, si parla anche di libertà di pensiero, indipendente e partecipativo. Quando si parla di capacità di espressione libera e indipendente, ciascuno di noi  pensa ad un diritto  universale  e acquisito dalla nascita dell’uomo e delle prime civiltà. In realtà, la libertà di pensiero e di parola, cardine essenziale della democrazia, ha origini molto recenti.

La giornata, che si celebra il 3 maggio in tutto il mondo, è stata istituita nel 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per ricordare ai Governi di sostenere e far rispettare la libertà di parola, come si legge nell’art.19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e per celebrare la Dichiarazione di Windhoek.  Un documento che tutela i principi in difesa della stampa libera e il pluralismo dell’informazione. Una dichiarazione semplice, chiara e inequivocabile, promulgata nel 1991 dai giornalisti africani a Windhoek, in uno Stato che precede l’Italia di molte posizioni nella graduatoria mondiale dei paesi in cui la libertà e la difesa di pensiero ed espressione sono ai vertici: la Namibia.

L’articolo 19 recita: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee, attraverso ogni mezzo e senza riguardo di frontiere.”

In Italia la libertà di espressione è stata negata durante gli anni del regime totalitario alla fine del quale, 74 anni fa,  i padri e le madri costituenti individuarono proprio nella libertà di stampa uno dei cardini del nuovo stato democratico.

La democrazia e la libertà di stampa, a caso o premeditatamente, è stata protagonista sul palcoscenico di un evento artistico, notoriamente, simbolo del potere del popolo: il Concerto del Primo Maggio a Roma.  Manipolato o non manipolato, vero o falso, opportuno o inopportuno, strumentale o non strumentale, concordato o imprevisto, quanto accaduto in quella occasione è  significativo di quanto delicato e rischioso sia il tema della libertà di pensiero e di parola e quanto complicato sia il  lavoro dei giornalisti, amato, apprezzato, talora odiato, spesso disprezzato, ma sempre inspiegabilmente o piuttosto spiegabilmente temuto.

Eppure non ci dovrebbero essere dubbi sulla chiarezza e sulla certezza di quanto si legge nell’Articolo 21 della Carta Costituzionale della nostra Repubblica: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Sono sempre di più, invece,  i giornalisti che oggi lottano con forza per difendere il diritto all’informazione da nuove censure sempre dietro l’angolo. Sono sempre più numerosi i giornalisti che in Italia e nel mondo lavorano per  raccontarci, senza bavagli, che le guerre ancora esistono, che le violazioni dei diritti umani colpiscono ancora milioni di persone, che ci sono paesi in cui le persone muoiono per mancanza di cibo, di acqua, per mancanza di cure e che  raccontano alla società le dinamiche delle mafie  e delle connivenze della criminalità con i Poteri forti e occulti. Sono sempre di più i giornalisti che pagano con il carcere, la tortura, l’ostracismo e con la vita il diritto di informare con libertà. Oggi, dobbiamo essere coscienti che diritti umani e libertà sono in pericolo e spetta ad ognuno di noi il compito di proteggerli. Questo è ancor più necessario in una situazione di pandemia mondiale che rischia di indebolire le istituzioni sociali e favorire comportamenti autoritari e conflitti tra gli Stati.

Il 3 maggio è, pertanto,  doveroso dedicare un pensiero a tutti i giornalisti, italiani e stranieri, che ogni giorno sacrificano la loro vita per il diritto d’informazione e commemorare tutti i giornalisti che hanno perso la vita solo perché hanno scelto di essere portatori di libertà e di verità. Oggi ricordiamo che dal 2011 a oggi, Reporter Senza Frontiere  ha censito 937 vittime e non dobbiamo pensare che le minacce alla libertà di informazione provengono solo dai regimi dei paesi in guerra.  La è riprova il fatto che nel 2020 sono stati uccisi 50 giornalisti nel mondo e la maggior parte lavorava in Paesi non in conflitto. Anzi, aumentano le vittime nei Paesi pacifici gli Stati più a rischio sono il Messico, l’India, il Pakistan, le Filippine e l’Honduras.

In Italia, giornalisti come Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Ilaria Alpi, Antonio Megalizzi e Daphne Caruana Galizia sono stati uccisi in anni diversi, da mandanti diversi e in luoghi diversi, ma per lo stesso motivo: perché hanno scelto di raccontarci la verità.

Ancora oggi, 3 maggio 2021, oltre 20 giornalisti italiani sono costretti a vivere sotto protezione a causa delle minacce ricevute. Nel mondo ci sono 387 reporter detenuti ed è aumentato del 35 per cento il numero delle giornaliste arrestate. Nei primi quattro mesi del 2021, il numero di giornalisti arrestati è cresciuto di quattro volte anche per la copertura sulla pandemia.

Nel rapporto di Reporter Senza Frontiere è descritto il modo particolarmente cruento con cui sono stati uccisi in Messico il giornalista Julio Valdívia Rodríguez del quotidiano El Mundo trovato decapitato, il suo collega Víctor Fernando Álvarez Chávez fatto a pezzi nella città di Acapulco. In India, il giornalista Rakesh Singh Nirbhik è stato bruciato vivo mentre il giornalista Isravel Moses, corrispondente di una stazione televisiva del Tamil Nadu, è “stato ucciso con il machete”. In Iran, pochi giorni fa è stato giustiziato il fondatore del canale Telegram Amad, il giornalista dissidente Ruollah Zam.

A indebolire i giornalisti non ci sono solo “i rischi legati alla professione”, ma anche le leggi statali. Quasi 20 giornalisti investigativi sono stati uccisi quest’anno: alcuni indagavano su corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici, altri si stavano occupando di mafia e criminalità organizzata, altri ancora di questioni ambientali. Anche coprire le proteste è diventato sempre più pericoloso: “Nel 2020 sette giornalisti sono stati uccisi mentre coprivano le proteste”, si legge nel rapporto di Rsf. In Iraq, tre giornalisti sono stati uccisi esattamente nello stesso modo: da un colpo alla testa sparato da uomini armati non identificati mentre coprivano le proteste. Un quarto giornalista è stato ucciso nella regione del Kurdistan settentrionale dell’Iraq mentre cercava di sfuggire agli scontri tra forze di sicurezza e manifestanti.

Il 3 maggio è il giorno che celebra la  stampa libera e indipendente e deve diventare il giorno del diritto e del coraggio. Il valore della libertà non è un diritto acquisito e immutabile. E’ fragile e va difeso, giorno dopo giorno, con l’impegno di tutti e con azioni concrete forti e generose.

Viva la libertà, viva la democrazia e viva tutti coloro che ogni giorno si impegnano per difenderla sino all’estremo sacrificio.

 

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