“Giorno della memoria”: ex poliziotto con 100 anni di ricordi

Michelangelo è nato 100 anni fa, da famiglia contadina, nelle campagne di Ceccano sotto Frosinone. Michelangelo non ha studiato molto in 100 anni di vita, però ha molto girato. Ben inteso viaggi d’occasione, viaggi last minute, in aereo, in nave, in camion, in treno, tutti mezzi delle compagnie di bandiera militari, a basso costo ma a prezzo caro.

In compenso, Michelangelo, pur senza studiare, ha molto imparato e molto ha da insegnare. Non ha avuto il tempo per frequentare corsi di laurea o specializzazione. A dir la verità non ha fatto neanche le scuole medie, solo un po’ l’elementare. Sarà forse per questo che Michelangelo sa rendere elementare qualunque storia, anche la più complicata anche quella mondiale.

Michelangelo ha visto la guerra mondiale dalle navi, dagli aerei, dai treni dei deportati, dai campi di battaglia e di prigionia in tanti paesi e contro nemici e alleati.  Michelangelo vive in Umbria ormai da una vita, a Orvieto e guarda ancora la terra dalla finestra. Lui con poche parole è riuscito a spiegarmi in poco tempo un lungo secolo della sua e della nostra storia.

Quando suo padre partì nella guerra imperiale di colonizzazione per combattere in Africa, Michelangelo aveva appena 14 anni, sempre pochi per capire perchè un padre dovesse andare ad occupare la terra africana per lasciare incolta la propria, ma abbastanza per diventare il capo famiglia, pur essendo un bambino.

Michelangelo racconta che in quei giorni di disperazione, una volta al mese, vedeva allora passare fuori dalla finestra un poliziotto in divisa, che veniva da Frosinone per far visita alla sua fidanzata. Gli piaceva quel poliziotto e quella divisa e sognava di indossarla anche lui un giorno. A 18 si arruolò in Marina, sognava di girare il mondo come radio telegrafica nella marina civile, ma gli si offrì l’occasione, in quella militare. Appena in tempo per lo scoppio della seconda guerra mondiale e così partì per una lunga Odissea durata tutta la guerra verso il mare di Ulisse. Combattè prima in Jugoslavia, poi in Grecia, fino a Salonicco e Rodi.

Michelangelo racconta col sorriso del bambino che si dice esser stato fortunato, che lui a Rodi vide anche il gigante e non conobbe mai il terribile generale inverno russo quello che fece strage dei valorosi soldati italiani, mandati a morire, mal equipaggiati, di fame e di freddo.

Racconta che non sa ancora come sia potuto succedere d’esser vivo, ma mentre lo dice saccente un lampo azzurro della faina capace di uscire dal lager di nascosto, eludendo i cecchini e andare a lavorare per avere qualcosa da mangiare per poi ritornare nel lager, perché aveva deciso che lui da lì sarebbe uscito vivo a guerra finita.

Racconta che la gente che lo vedeva lavorare, ogni giorno faceva un lavoro diverso, gli dava sempre qualcosa da mangiare e lui con quella rientrava nel campo portandola anche agli altri, che erano italiani e dunque erano la sua famiglia.

Ma davvero non lo sa perché lui sia vivo, jn giorno mentre volava sull’aeroplano, vide precipitare quelli che gli volavano accanto colpiti dalla contraerea, mentre il suo invece, seppur danneggiato sull’ala, riuscì ad atterrare.

Dice che non pregò mai in tutta la vita come pregò in quei momenti e vide i volti di tutti bianchi come la neve.
Quando la neve cadeva nel lager era una festa. Perchè almeno si poteva bere sciogliendola nella tinozza.

Racconta poi con lo stupore di un bambino di 100 anni d’età, che l’8 settembre del 43 dopo l’armistizio il suo Ammiraglio gli disse che avevano vinto la guerra. Ma gli disse anche  che avrebbero dovuto consegnarsi prigionieri ai tedeschi, malgrado fossero in numero soverchiante rispetto ai tedeschi.

Michelangelo ricorda  i bambini come lui, che vede anche quando chiude gli occhi.  Li vede sempre, ancora oggi, guardando la verde valle dalla finestra di Orvieto dove lui vive. Sono figli senza nome, ma pieni di ricordi. Rivede i tre bambini tedeschi di soli 14 anni d’età che vide impiccare dalle SS naziste perchè non volevano partire per il fronte a guerra ormai disperatamente finita.

Racconta con un filo di voce e gli occhi fissi di chi ancora li vede, che li vide dimenarsi e gridare per poi restare appesi in silenzio, immobili per tre giorni, mentre la gente passava senza neppure avere il coraggio di alzare la testa.
Lui la testa l’alzava. Michelangelo resta in silenzio, immobile come loro, guarda fuori e ripete – “14 anni” – e poi non dice altro.

Poi però quel suo sguardo di faina s’accende di nuovo e guizza lontano. Racconta di un altro bambino, in  Polonia. Un bambino  rimasto su un carro, che piange, perchè i sovietici avanzando, gli avevano ucciso con le granate i genitori. Racconta di aver   preso in braccio il bambino e che  se lo poggiò sulla guancia.  Quel bambino smise di piangere. Mentre lo racconta  si porta la mano sul viso e gli si rompe in gola la voce, come fosse ora. In fondo anche 100 anni sono un lampo.

Michelangelo racconta che quando i sovietici finalmente alla fine della guerra lo liberarono, irrompendo nel campo tedesco, lo trovarono a dormire come un bambino per terra, sulla paglia, che la terra in fondo è sempre stata la sua mamma.

Finalmente tra il settembre e l’ottobre del ’45, Michelangelo racconta il suo rientro in Italia. Racconta che dopo 6 anni di guerra e prigionia  rientrò in patria e tornò di nuovo a sognare dal finestrino dell’autocarro e del treno. Tornò a sognare quel poliziotto senza nome con la bella divisa. Allora pensò con gli occhi di un bambino che ancora sogna : – “se riesco ad entrare in Polizia, è qui che vorrei vivere sempre”.

Dei suoi 100 anni ricorda i bambini senza nome, quelli in Germania e quello in Polonia, quelli impiccati o disperati senza più i genitori.  Proprio come lui, il piccolo Michelangelo, il bambino di Ceccano che da solo lavorava la terra e sognava di diventare un giorno un poliziotto. Oggi quel bambino ha lo stesso stupore di 100 anni fa. Come capita quando guarda fuori dalla finestra e vede il suo sogno realizzato e ripete – ” sono stato bene…sono stato bene “.

È stupìto che ci siano poliziotti sotto la sua finestra, giunti proprio per lui e che ci sia persino una telecamera e un attore che vuol raccontarne la storia. Si stupisce che sia andato il Questore in persona a trovarlo e portargli un’onoreficenza. Michelangelo saluta tutti e sorride e continua con gli occhi il suo viaggio. Oltrepassa  lo sguardo di tutti con il guizzo di una faina all’assalto. Lui ha da fare, da sopravvivere ai secoli, volare alto, guardare altro.

Saluta dall’alto della finestra e dei suoi 100 anni vissuti davvero, in fondo lui c’è riuscito. Ha sconfitto con i sogni le guerre di tutti.  Ha vinto i tedeschi, i sovietici, gli inglesi, gli slavi, i greci, i polacchi, gli americani e gli ammiragli italiani.
Lui ha vinto davvero. Ricorda quel giorno, sfrecciando col treno ai piedi della Rupe di Orvieto. Guardando la verde valle umbra  disse dentro di sè – ” se entro in Polizia è qui che vorrei vivere per sempre“.

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