Quando, 60 anni fa, l’avvocato inglese Peter Benenson ebbe l’idea di lanciare un “Appello per l’amnistia” per chiedere la scarcerazione dei prigionieri di coscienza nel mondo, non sapeva di aver dato vita a ciò che, decenni dopo, sarebbe stato chiamato “social network”: una rete di persone, in ogni parte del pianeta, accomunate da un obiettivo comune e da tecniche di azione e di comunicazione. Diciassette anni più tardi, nel 1977, Amnesty International è stata insignita del Premio Nobel per la pace.
Quel piccolo “social network” creato da Benenson nel 1961 si basò, per molti anni, su alcuni minimi denominatori comuni:
- non si può finire in prigione per le idee;
- il corpo delle persone non si tocca;
- qualsiasi reato sia stato commesso, la risposta dello Stato non dev’essere uguale o peggiore.
Dalle prime campagne per la liberazione dei “prigionieri di coscienza”, per la messa al bando della tortura e per l’abolizione della pena di morte, Amnesty International ha, progressivamente, ampliato il suo raggio d’azione, fino a occuparsi di maggioranze di titolari di diritti alle quali, quei diritti, vengono quotidianamente negati.
Amnesty si batte da 60 anni per i diritti di tutti, nessuno escluso e per l’affermazione e la difesa dei diritti economici, sociali e culturali. Sin dalla sua fondazione, attraverso una costante e accurata opera d’informazione e di sensibilizzazione, Amnesty International ha intrapreso ogni singola azione solo ed esclusivamente basandosi su fatti accuratamente documentati. È per questo motivo che i suoi ricercatori sul campo verificano e segnalano senza pregiudizi e con metodo “scientifico” le violazioni dei diritti umani, sanciti dalla ‘Dichiarazione universale dei diritti umani’ e da altri atti sulla protezione internazionale di questi.
Con la visione di un mondo da tutelare da ogni abuso, la missione di Amnesty International è quella di svolgere ricerche e azioni per prevenire e far cessare abusi dei diritti all’integrità fisica e mentale, alla libertà di coscienza e di espressione, e alla libertà dalla discriminazione.
Raccolte di firme, manifestazioni e pressioni deontologicamente e legalmente possibili sulle Istituzioni, sono gli strumenti che Amnesty usa per richiamare l’attenzione della società civile e della comunità internazionale sulle violazioni documentalmente dimostrate.
Leggendo nella sezione delle ultime notizie riportate dal sito di Amnesty International Italia, si trovano dei titoli che sono significativi delle attività che Amnesty svolge in tutto il mondo.
Uno di questi riguarda la lotta contro le violenze sulle donne: in Slovenia, infatti, per la prima volta il Parlamento ha stabilito che lo stupro senza consenso è stupro.
Un’altra battaglia che conduce da sempre Amnesty International è quella che riguarda l’abolizione della pena di morte. C’è una bella notizia che arriva dal Pakistan dove, una coppia di giovani di religione cristiana, carcerata ed in attesa della sentenza di esecuzione della pena di morte per blasfemia, è stata, invece, assolta.
Cito due “ultim’ora” importantissime che riguardano l’utilizzo della rete a scopo sociale, mediante una piattaforma che Amnesty International ha realizzato per il la frequentazione on line di un Corso di “diritto di protesta” disponibile, ora, anche in versione italiana.
La seconda ultim’ora è invece relativa ad una situazione di criticità politica, sociale e umanitaria che Amnesty International segue con attenzione. Mi riferisco al divieto che Hong Kong, anche quest’anno, ha imposto per lo svolgimento della la manifestazione commemorativa del massacro di Tiananmen.
Ma c’è anche la nota vicenda del giovane studente Patrick Zaki che Amnesty segue con attenzione, battendosi per l’immediato rilascio del giovane da parte delle Autorità egiziane.
Prima di concludere, una breve riflessione sul simbolo di ‘Amnesty International’ che è la candela nel filo spinato, nota anche semplicemente come “candela di Amnesty International”. Realizzatrice del logo, a partire da un’idea del fondatore di Peter Benenson, fu l’artista britannica Diana Redhouse.
Il filo spinato richiama la recinzione di un campo di prigionia, a simboleggiare la detenzione protratta e le violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti dei prigionieri di coscienza.
La candela accesa rappresenta la volontà, da parte dell’organizzazione, di tenere sotto la luce dei riflettori ciascuna singola violazione dei diritti umani sulla quale essa lavora, perché l’opinione pubblica possa esserne edotta. Un ulteriore significato leggibile nella luce della candela è la speranza nella giustizia per tutte le vittime delle violazioni dei diritti umani.
Come si diventa sostenitori o ricercatori di Amnesty International? Per diventarlo basterebbe essere pronti a compiere quattro passi concreti e fondamentali: donare, firmare, educare ai diritti umani, attivare e attivarsi.
Buon sessantesimo anniversario, dunque, a tutti i coraggiosi operatori di Amnesty International.