Fortunato Cerlino insieme a Barbareschi rappresentano l’Italia a Venezia con il film “The Palace“, del regista Roman Polanski. Abbiamo incontrato “Tonino”, il portiere e co-protagonista di questa pellicola internazionale, cercando di conoscere meglio il suo interprete e il set di questo capolavoro che nella sua internazionalità ha tanto made in Italy.
Il film “The Palace” debutta a Venezia con due ambasciatori italiani affianco al grande regista Roman Polanski, Luca Barbareschi e lei, Fortunato Cerlino. Come si sente a rappresentare il bel Paese in una cornice così importante affianco ai grandi del cinema internazionale?
“Devo dire che ho avuto la fortuna di avere spesso esperienze su set internazionali, ed è ogni volta un onore e un piacere. Il cinema italiano ha da sempre una vocazione di questo tipo, fa parte della storia del nostro cinema. Ci sono pochi i Paesi al mondo che possono legare la loro identità anche al mondo del cinema, alla produzione cinematografica, l’Italia è uno di questi. Abbiamo espresso negli anni grandi pellicole e grandi maestri, grandi visioni cinematografiche. Quindi per me non soltanto è un onore, ma anche una responsabilità enorme oltre che una bella opportunità. La mia carriera è stata costellata fin qui da questo tipo di opportunità, e devo dire che le affronto con la serietà e responsabilità necessaria.”
Le riprese del film si sono svolte principalmente in Svizzera, quanto è durato il set?
“Si, si sono svolte in Svizzera, a Gstaad. Le riprese sono da più di tre mesi, il mio personaggio lo abbiamo girato in un mese e mezzo, non proprio in maniera continuativa, ho avuto anche modo di fare su e giù con l’Italia.”
Come è stato misurarsi con colleghi del calibro di Mikey Rourke e Fanny Ardant?
“C’è una frase che mi piace dire in queste occasioni, ovvero che -ci si può divertire soltanto quando si è molto seri-. Allora questo tipo di attori, come altri con i quali ho già lavorato, hanno questa qualità. Ma ho lavorato anche con attori italiani straordinari che hanno questa stessa peculiarità, grande preparazione professionale, grande serietà, e quindi questo forse rende possibile anche divertirsi sul set, che si possa stare bene, che ci si possa rilassare. Ciò è possibile solo se il -patto- alla base, è che ognuno fa il suo lavoro cercando di dare il massimo. Il nostro è un gioco, ma è un gioco molto serio, bisogna conoscerne le regole, e quando le conosci le allora trovi dei compagni di gioco di altissimo profilo, ti diverti veramente, ti diverti poco nel senso vero del termine, quindi è un divertimento si… ma tecnico.
Ripeto, se i colleghi hanno per questo mestiere una preparazione e un desiderio, una passione, tale da consentirgli di stare sul set, questo stabilisce già la differenza che c’è fra il gioco e quello che potrebbe definirsi -cazzeggio-. C’è una grandissima differenza, quindi ci si diverte ma ci si diverte a proposito di qualcosa di molto serio.”
Quali particolari differenze hai incontrato tra i set girati in passato e quello di “The Palace”?
“La differenza con gli altri set sta nella presenza di Roman Polanski. Polanski è un maestro vero, un maestro straordinario, un uomo che a 90 anni salta come un grillo, come un bambino, e ha una passione pazzesca. Si occupa di tutto sul set, è molto intenso, trasmette un bisogno, una voglia, un desiderio di stare lì, enorme. Nello stesso tempo però è un uomo che ha una ricerca per il dettaglio incredibile..lui sa fare tutto, e ahimè…ha sempre ragione! E poi ama gli attori, quindi lavorare con lui ha una valenza ancora maggiore, perché ama e conosce molto bene la -macchina attore-. Quindi tutte le volte che ci ha consigliato qualcosa, che ci ha diretto nelle scene, devo dire che era sempre prezioso. E’ stato come andare a scuola, perché lui ha questa attenzione pazzesca per le intonazioni, per le battute, per il -motore- che c’è dietro le battute. Abbiamo costruito il personaggio partendo veramente dai più piccoli dettagli. È stata una grandissima fortuna.
Ho già raccontato questo aneddoto, dove lui nel primo giorno di set di -The Palace- ha fermato a un certo punto la scena, perché dietro c’era una coroncina su di una lampada infondo all’inquadratura, che non era in equilibrio rispetto alla lampada gemella dall’altra parte dell’inquadratura. Ma stiamo parlando di centimetri, e lui si è alzato e ha messo a posto personalmente quella coroncina, e poi ha dato nuovamente l’ok per poter girare. È un uomo che ha questo tipo di attenzione, vede tutto. Pretendeva anche sul set un’ attitudine molto seria, il silenzio…e in modo che poi ci si potesse divertire. Abbiamo riso tanto con lui perché è veramente un grandissimo maestro e ti trasmette una passione pazzesca.”
Hai dimostrato molte volte al tuo pubblico la tua “trasversalità” di artista, da Boss della camorra a Poliziotto, da personaggio in grado di incutere paura a ruoli in cui fai emozionare, ridere. Come pochi non sei mai stato legato ad un “ruolo prefissato”.
“Io vengo dal teatro e quindi ho fatto già tantissimi personaggi, chiaramente il pubblico mi conosce per il personaggio di -Gomorra-, perché è quello che mi ha dato la fortuna di arrivare al grande pubblico. Tuttavia, venendo dal teatro appunto, la mia formazione è molto diversificata. Basti considerare che ho cominciato la mia carriera con personaggi brillanti, personaggi comici, ne ho fatti veramente tantissimi. Per me non è una sorpresa quello di riuscire a passare da una corda all’altra. C’è anche da dire che spesso poi ruoli tragici e ruoli da commedia sono gemelli, nel senso che la commedia c’è quando la sublimazione della tragedia diventa commedia, quando come diceva Cechov nei suoi scritti, -quando sei di fronte a qualcosa di veramente tragico, te ne accorgi perché i personaggi sorridono o ridono-. Addirittura la tragedia spoglia, spoglia da ogni tipo di difesa, ogni tipo di impossibilità e di comprensione, diventando anche quasi ridicola. In alcuni momenti, i grandi personaggi Buster Keaton, Charlie Chaplin ci hanno insegnato questo. A volte l’unica cosa, l’unica arma che si ha di fronte alla grande tragedia è proprio la risata. E quindi la grande commedia è la grande tragedia sono figlie dello stesso gesto, della stessa emozione. Quindi io vivo un po’ su quel confine, spostandomi talvolta da una parte all’altra. E’ chiaro che il pubblico si affezioni a dei personaggi, ricordandoti in qualche modo per delle personalità specifiche.”
Chi è “Tonino”, il portiere di “The Palace”?
“Con questo film di Roman torno un po’ alle mie origini. Un personaggio che ha a che fare con qualcosa di meraviglioso, perché è sulla porta di questo transatlantico che racconta la fine di un’epoca, la fine di un mondo. Ed è appunto una commedia molto amara, molto tragica. Tonino è un po’ un uomo di mezzo, perché fa parte diciamo, del popolo. Lui lavora lì, ma nello stesso tempo deve avere una professionalità altissima, assistendo a queste mostruosità, con lo stupore dell’uomo ma con la grande attenzione del professionista. Questo gli crea uno shock, gli crea una rottura interna, è un personaggio che è stato molto divertente interpretare. L’ho adorato perché dovevo lavorare sul contenimento di emozioni, cioè quello che vedi e quello che invece devi restituire, perché sei comunque il concierge di un albergo di altissimo profilo, e come viene detto anche all’inizio del film, in quell’albergo, quella notte, ci saranno le persone più importanti del mondo.”
Cosa ti aspetti da questa edizione del festival del cinema di Venezia?
“Da questa visione mi aspetto delle belle cose anche perché il direttore Barbera, ha proposto un cartellone molto ricco e coraggioso, mettendo nella selezione film e firme molto importanti, ma anche scomodi e con personaggi scomodi. Ha avuto quindi nuovamente il coraggio di aprire lo sguardo su delle cose complesse. Chiaramente non riuscirò a vedere tutto, ma spero di poter vedere la maggior parte delle pellicole che sono in concorso, perché Venezia sempre di più si dimostra essere una mostra veramente internazionale, di altissimo profilo.”
foto screenshoot trailer “The Palace”