Cinema – Arriva il momento del secondo film italiano in gara: “Il Buco”

Ieri, 4 settembre, è stato il turno del secondo film italiano in gara per questa 78esima Mostra del Cinema di Venezia. “Il Buco” di Michelangelo Frammartino è una storia vera, quella di un gruppo di speleologi che negli Anni 60 scoprirono una delle grotte più profonde al mondo, l’Abisso del Bifurto.

Il film è ambientato durante il boom economico degli anni Sessanta. All’altra estremità del paese, un gruppo di giovani speleologi esplora la grotta più profonda d’Europa nell’incontaminato entroterra calabrese.

Si raggiunge, per la prima volta, il fondo dell’abisso del Bifurto, a 700 metri di profondità. L’avventura degli intrusi passa inosservata agli abitanti di un piccolo paese vicino, ma non al vecchio pastore dell’altopiano del Pollino la cui vita solitaria comincia ad intrecciarsi con il viaggio del gruppo. “Il Buco” racconta di una bellezza naturale che lascia senza parole e sfiora il mistico, una esplorazione attraverso le profondità sconosciute della vita e della natura che mette in parallelo due grandi viaggi interiori.

L’opera terza di Frammartino è un prodigio a tutti gli effetti, capace di risvegliare la coscienza su quanto la storia ha tenuto finora nascosto. Il film, al cinema da questo week end, vede la luce nel momento in cui Michelangelo Frammartino ha conosciuto “il buco“. Racconta il regista: “Nel gennaio 2007, il sindaco del paese calabrese dove stavo girando “Le quattro volte”, mi ha portato a fare un giro del Pollino. “Devi vedere le meraviglie di queste montagne!”, ha detto. Mi ha condotto in una dolina dove si poteva vedere un magro taglio nel terreno. Ero perplesso, deluso. Il sindaco, invece, entusiasta e fiero, ha gettato in quel vuoto un grosso sasso. È stato inghiottito dall’oscurità. Il fondo era così profondo che non si vedeva né si sentiva nulla. Quella scomparsa, quella mancanza di risposta, mi ha dato un’emozione fortissima.

Continua Frammartino: “Quello strano posto mi è rimasto impresso, richiamandomi a sé anni dopo, per interrogarlo e creare un progetto nel buio silenzioso dell’Abisso del Bifurto. Nel mio film racconto una controstoria. Gli Anni 60 sono quelli del boom, della luce. Questa invece è una storia di silenzio e di buio“.

Nel film, quasi interamente senza dialoghi e colonna sonora, la macchina da presa indaga gli spazi rurali incontaminati e la natura selvaggia e aspra del Pollino, portando lo spettatore del cinema nel fondo di questo abisso, per immortalare il quale sono state necessarie sei settimane di riprese non poco complesse per regista e interpreti.

 

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