Compliance societaria: il bilancio di un ventennio di operatività del D.L. 231

Sono ormai trascorsi venti anni dall’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del D.L. 231 dell’8 giugno 2001, con cui si sanciva la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni, in aggiunta a quella delle persone fisiche che hanno materialmente realizzato il reato.

Un provvedimento, sicuramente, innovativo rispetto a una tradizione giuridica plurisecolare, che escludeva esplicitamente qualsiasi responsabilità societaria diretta e che nel corso del ventennio ha conosciuto aggiustamenti e ampliamenti del catalogo di reati previsti (l’ultimo in ordine di tempo, circa 1 anno fa, con l’inclusine delle frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea.

Una recente ricerca, promossa dalla Fondazione Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale e coordinata dai Professori Centonze e Manacorda, avvalendosi di dati raccolti dalla Procura Generale della Cassazione e dal Ministero della Giustizia, offre un’interessante fotografia dei principali esiti di questa norma per il quadriennio 2016-’19.

Emerge, innanzitutto, da questa ricerca la relativa esiguità del numero di procedimenti iscritti, 2500 nel periodo considerato, mediamente poco più di 600 su base annua, inoltre distribuiti in modo difforme sul territorio nazionale: concentrazione di procedimenti nelle regioni settentrionali, in particolare a Bologna, Roma e Milano; penuria in quelle meridionali, con un misero 3% a testa per Napoli e Palermo.

Altra considerazione è legata al numero di condanne, che riguarda solo un 10-15% dei procedimenti, mentre il resto dei procedimenti iscritti si risolve, prevalentemente, in archiviazioni e, poi, in assoluzioni e patteggiamenti.

Una terza annotazione, infine, tocca la tipologia dei reati contestati, che evidenzia una percentuale significativa per i reati ambientali (25%) seguita dai valori relativi alle violazioni delle misure di garanzia della sicurezza del lavoro e alle truffe ai danni dello Stato. In particolare,  i reati societari e finanziari rappresentano il 5%, i delitti contro la Pubblica Amministrazione l’8%.

Alla luce di questi esiti è legittimo chiedersi come migliorare in prospettiva l’efficienza funzionale di questa importante norma. Le proposte avanzate in tal senso vanno da una rafforzata uniformità nell’esercizio dell’azione penale da parte delle diverse Procure, aspetto su cui è cruciale la sorveglianza esercitata dalla Procura Generale della Cassazione, a una maggiore incisività delle misure interdittive concepite per escludere, anche temporaneamente, dal circuito economico gli organismi che abbiano adottato un sistema di vigilanza inadeguato; ad una diversa connotazione, infine, dello stesso sistema sanzionatorio, nel senso di tenere maggiormente conto, sia del grado di collaborazione offerta dalle imprese durante le indagini, sia dell’efficacia degli strumenti di prevenzione da queste adottati.

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