Ogni diario di viaggio che si rispetti è costituito da due parti fondamentali, distinte e mescolate fra loro: fatti e osservazioni. Così, ogni viaggiatore che si sia cimentato in una tecnica narrativa del genere ha appuntato orari e luoghi e poi, magari in fondo alla pagina, ha aggiunto le sue proprie impressioni. Ha cioè restituito alla futura memoria le sensazioni derivate dalla riscoperta di luoghi, vicini e lontani.
Questo è ciò che accade anche in “Diari di viaggio – in Italia, Grecia e Turchia” di Virginia Woolf, edito da Mattioli nel 1885. La genesi dell’opera è subito chiara nella prefazione in cui la stessa autrice ammette “trascuratezza nelle descrizioni“. “In poche parole – scrive la Woolf – lo considero un lavoro precipitoso, ma mi giustifico ricordando in quali circostanze è stato scritto“. Se l’assoluzione della Woolf viene dalla sue stesse parole, a fine lettura è molto chiaro che pure quell’ammissione di colpa è un vezzo di scrittrice.
Si riconosce sicuramente una certa frammentarietà nello scritto, una caratteristica forse intrinseca al tipo di narrazione, che rallenta in certe parti lo scorrere della lettura. Tuttavia, bisogna riconoscere il valore della parola che anche in quest’opera la Woolf sceglie con puntualità. Parole che fanno venire voglia di essere nei luoghi descritti, e magari leggere le parole della Woolf sul posto, lì dove trovano più senso. “Il Tempio si accende di rosso; l’intero frontone pare infiammarsi, come per la prima volta, nel tramonto che gli sta di fronte: irradia luce e calore, mentre gli altri templi bruciano di un fulgore bianco“, scrive del Partenone di Atene, in Grecia.
Nel diario anche Milano, Siena, Perugia e Assisi
Il viaggio, poi, prosegue in Italia. La scrittrice inglese, in compagnia della sorella Vanessa e del cognato Clive, visita Milano, Siena, Perugia e Assisi. Su Milano scrive “la paragono a uno schizzo di acquarello, eseguito da una mano energica sebbene non eccezionale. È molto più sincera e sicura di sé rispetto a noi, con le nostre Brighton e Oxford, come se fosse stata eseguita su un modello suggerito dal tipo di colore e di clima“. Di Perugia, invece, si legge: “Quando guardo fuori dalla finestra vedo soltanto teste in movimento e tutti i luoghi segreti di una moltitudine di tetti; qua vedo un buco in cui l’acqua entrerà all’insaputa dell’inquilino; là vedo il davanzale della finestra di una domestica, con i casi incrinati che contengono piante verdi; qui una tegola sporgente alla quale è appeso ad asciugare un abitino azzurro; l’abbaino, dove il bucato è appeso ad asciugare dalla finestra. Ma questi tetti bruni sono estremamente raccolti, e poco più in là sbuca, libera, la campagna“.
La lezione nel testo: viaggiare per studiare e crescere
C’è da imparare sui luoghi e sui popoli, sulla loro visione fra 800 e 900. Ci sono punti critici di collisione fra le culture che si incontrano, ci sono momenti di altezza poetica effimera. Descrizione ed emozione si fondono. “E non si viaggia proprio per studiare la sfaccettatura delle cose? E dovremmo forse rinunciare al diritto di fregiarci dell’onorevole titolo di turisti?“, si chiede la Woolf nei suoi diari. E continua: “Non finché non c’è penna – una vecchissima penna, e una goccia di inchiostro – molto secco. Perché, come spiegheremo un giorno, insieme costituiscono la pietra filosofale. Disegna un movimento in aria con un mozzicone d’oca sporco, dopo aver dispiegato un foglio bianco sulle ginocchia. Presto una processione comincia ad attraversarlo; non vi sono dubbi di sorta; ecco gli scocciatori e gli zucconi, gli imbroglioni e i bugiardi; ma adesso il loro unico scopo è rendere piacevole un’ora di riposo. Perciò ringrazio la Signora che ha appena finito di pestare un valzer al pianoforte, e perdono la grassona che si nutre a orari regolari al tavolo accanto. Dopotutto mi permettono di formulare le seguenti riflessioni sulla vita famigliare greca – e ciò è molto apprezzabile“.