Ankara, 12 mag. (Aki) – Un funambolo che cammina sul filo del rasoio senza percezione del rischio. L’azione politica di Recep Tayyip Erdogan è sempre stata un continuo azzardo. E anche nel suo ultimo mandato è rimasto fedele alla linea, tra mediazioni ‘impossibili’ sull’Ucraina, lo scontro con la Nato sull’ingresso di Finlandia e Svezia e i preparativi per nuove operazioni militari contro i curdi in Siria.
E, in vista delle elezioni di domenica 14 maggio, di temi ce ne sarebbero ancora decine per un leader da 20 anni al potere e che non smette mai di stupire. Un rilancio continuo il suo, in cui nuovi fronti (e scontri) si aprono, mentre altri si chiudono con una stretta di mano. Oggi, nonostante i problemi di salute manifestati in campagna elettorale, si prepara per il suo numero provato e riprovato di cui è campione assoluto: la vittoria delle elezioni. Sulla sua strada però troverà un’opposizione agguerrita come non mai.
Sul fronte internazionale Erdogan, una volta pompiere un’altra piromane, in questi ultimi anni ha giocato su più tavoli nello stesso tempo, con un sogno nel cassetto: ospitare sul suolo turco un incontro che sarebbe storico tra Putin e Zelensky. Far fare la pace ai due leader è cruccio e obiettivo dichiarato del Sultano che a marzo 2022 sfiorò il bersaglio grosso, ospitando ad Antalya i ministri degli Esteri dei due Paesi in guerra.
Il mediatore Erdogan ha raccolto però un grande risultato con la firma a Istanbul dell’accordo che sbloccò le esportazioni di grano dall’Ucraina, scongiurando una crisi alimentare mondiale. Un successo diplomatico che il presidente turco, al momento l’unico leader mondiale in grado di dialogare nello stesso tempo con Zelensky e Putin, intende replicare strappando l’ok alla proroga dell’intesa. E nei suoi spericolati passaggi da un fronte all’altro, ha anche facilitato uno scambio di prigionieri tra le parti.
Ma la mano di Erdogan non può essere solo piuma. Sempre nel contesto ucraino, il leader turco ha ingaggiato una battaglia politica furiosa contro l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. I due Paesi scandinavi, intimoriti dal bellicismo russo, hanno chiesto ospitalità all’Alleanza ricevendo messaggi di giubilo da tutti i membri. Tutti tranne due: l’Ungheria di Orban e, appunto, la Turchia.
Ankara, dopo aver concesso l’adesione di Helsinki, sta forzando la mano per farsi consegnare dalla Svezia alcuni personaggi legati al Pkk o alla rete Gulen, movimenti considerati alla stregua di gruppi terroristici. Un braccio di ferro, quello con Stoccolma, che per il momento non vede vincitori, ma l’unica certezza nella vita è che alla fine Erdogan otterrà qualcosa in cambio, come insegna anche il suo approccio alla crisi dei migranti condito dal ‘ricatto’ all’Ue.
Il presidente turco, intanto, tesse la sua tela regionale, creando nuove alleanze. Ha infatti fatto la pace con Emirati ed Israele e ha iniziato una “nuova era” nelle relazioni con l’Arabia Saudita dopo il gelo successivo alla morte atroce riservata dai sicari del Golfo al giornalista Jamal Khashoggi nel consolato del suo Paese a Istanbul. Un riavvicinamento sancito dalla visita di Erdogan nel regno di re Salman ricambiata da quella ad Ankara dell’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman.
Sullo sfondo, ma neanche tanto, restano la nuova campagna nel nord della Siria contro i curdi che il presidente turco minaccia da tempo, ma che ora sembra essere stata accantonata in nome di una possibile riconciliazione con Assad, e lo scontro con la Grecia.
Ma la partita decisiva per le sue sorti politiche Erdogan la giocherà domenica, quando in Turchia si terranno le parlamentari e le presidenziali. Il Paese è da tempo in clima pre-elettorale, ma arriva ferito dall’attentato a Istanbul dello scorso novembre e, soprattutto, dal devastante terremoto che lo scorso 6 febbraio ha quasi cancellato alcune zone del sud, causando quasi 50mila morti. Erdogan, politicamente parlando, si gioca tutto. Primo ministro dal 2003 al 2014 e da allora capo di Stato, ha traghettato il Paese – attraverso un contestato referendum costituzionale nel 2017 – da un sistema parlamentare a uno presidenziale. Tuttavia, come dimostrano anche i risultati delle amministrative a Istanbul e Ankara del 2019, il suo consenso sembra in calo.
Fedele al motto ‘squadra che vince non si cambia’, il leader turco ha confermato l’alleanza tra l’Akp, il suo partito, ed i nazionalisti dell’Mhp guidati da Devlet Bahceli, con cui ha vinto le ultime consultazioni. Tutt’altra strategia quella adottata dall’opposizione che, in vista dell’appuntamento cruciale, ha formato una coalizione di ben sei partiti, con la leadership chiara del Partito Repubblicano del Popolo (Chp), da sempre la principale forza di opposizione all’Akp. Ed i sondaggi che circolano in questi mesi non sono del tutto rassicuranti per Erdogan: secondo alcuni di questi, tra il leader turco ed il suo sfidante più accreditato, Kemal Kilicdaroglu, sarebbe un testa a testa.
Economia e ricostruzione post-sisma sono stati i temi dominanti della campagna elettorale, con Erdogan pronto a giocarsi la carta dei successi diplomatici per offuscare un quadro finanziario della Turchia da tutti giudicato critico. La Banca centrale turca – su forte ‘consiglio’ del presidente e in controtendenza con l’Europa e gli Stati Uniti – ha tagliato i tassi di interesse. L’inflazione su base annuale, dopo una crescita esponenziale, finalmente ha iniziato la parabola discendente. E a pochi giorni dall’apertura dei seggi, il Sultano ha annunciato aumenti sostanziosi agli stipendi dei dipendenti pubblici.
L’idea di Erdogan che l’economia debba crescere a tutti i costi ha fatto registrare un aumento del 3,5% del Pil nel 2022, ma i nodi stanno arrivando al pettine e le urne stabiliranno se il Sultano avrà avuto ragione anche stavolta. Chissà se il prossimo 29 ottobre, giorno in cui si festeggerà il 100mo anniversario della fondazione della Repubblica di Turchia, Erdogan starà ancora camminando sul filo del rasoio pronto per una nuova sfida.