Il pensiero economico di Dante Alighieri secondo Ignazio Visco

In occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri numerosi sono stati quest’anno i libri, gli articoli e gli interventi finalizzati ad approfondire i diversi aspetti della sua personalità, oltreché i temi trattati nelle sue opere.

In questo contesto va ricordato il Festival Dantesco, manifestazione svoltasi nella prima parte di settembre, giunta alla sua decima edizione e organizzata dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Ravenna e dall’Accademia della Crusca, avvalendosi della direzione artistica del Professore Domenico De Martino, con una serie di eventi celebrativi culminati  in quella, che può essere considerata un’autentica Lectio Magistralis del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.

L’intervento del Governatore, “Note sull’economia di Dante e su vicende dei nostri tempi”, costituisce un tentativo originale e pregevole di soffermarsi su una dimensione di Dante, quella della sensibilità verso i temi economici, poco esplorata e considerata, finora, decisamente residuale rispetto agli altri profili del suo pensiero.

Vengono, cosi, ricordati e rivisitati alcuni significativi passi delle principali opere dell’Alighieri: dalla Divina Commedia,  al De Monarchia, al Convivio, in cui Dante si esprime su aspetti della sua contemporaneità economica, commentandoli con l’aiuto di dotti e selezionati riferimenti letterari in chiave storico economica, sia dell’epoca dantesca, sia dei secoli successivi e con l’ introduzione di stimolanti raffronti con vicende a noi decisamente più vicine. Scorrono, quindi, le considerazioni sulla diffidenza suscitata dai mercanti banchieri, che, pure, stavano rendendo Firenze una piazza finanziaria di statura internazionale, sul suo simbolo monetario, il fiorino, bollato con l’espressione “il maledetto fiore”, fino a pervenire ad una visione più ampia dell’economia, quale quella contenuta nel canto VII dell’Inferno, il cosiddetto Canto della Fortuna.

Non mancano, inoltre, nel testo di Visco le citazioni dantesche su alcuni aspetti patologici della dimensione economica dell’uomo, legati alla sua cupidigia, in particolare, nelle sue manifestazioni di avarizia, di usura e di falsificazione della moneta.

Il Governatore nella sua trattazione sottolinea anche le soluzioni prospettate da Dante per evitare pericolosi impatti di queste patologie economiche sul piano della stabilità sociale. Soluzioni, naturalmente condizionate nel contesto storico a lui contemporaneo; privilegiando, pertanto, la possibilità di affidarsi a un monarca universale, il reggitore dell’Impero; fermo restando che sul piano concreto Dante, nella prospettiva di una separazione tra potere religioso del Papa e potere temporale dell’Imperatore, sembrerebbe propendere per la visione di un Impero non inteso come potere assoluto, ma quale autorità al di sopra delle parti.

Alla luce di queste sintetiche note non si può non concordare con le conclusioni di Ignazio Visco, che, se da un lato giustamente mette in guardia contro la tentazione di leggere i riferimenti di natura economica dell’epoca dantesca con gli occhiali delle categorie politiche e socio economiche attuali solo per ricavarne un rafforzamento dei propri convincimenti; dall’altro non può esimersi dal sottolineare la ricchezza di questi spunti, che per certi versi inquadrano aspetti della natura umana e fenomeni correlati, che certamente vanno al di là della specifica dimensione storico temporale del Medio Evo.

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