Il Vaticano utilizza un’opera per un francobollo, ma senza autorizzazione

Lei è Alessia Babrow, artista italo-sudafricana e in questi giorni è finita al centro della cronaca non per le sue opere, o almeno non per le opere in mostra. Alessia Babrow, infatti,  ha fatto causa alle poste del Vaticano e quindi alla Santa Sede. Il motivo è il francobollo pasquale che il Vaticano annualmente dedica alla Resurrezione. Quest’anno l’immagine utilizzata è quella di Alessia e di una sua opera. Solo che a lei non è stata chiesta l’autorizzazione.

Mauro Olivieri, Direttore dell’Ufficio filatelico vaticano, ha raccontato come si sia imbattuto sul murales nella rivista Il mio Papa: “Ero in motorino quando fui attirato da un piccolo murales, ispirato all’Ascensione di Heinrich Hoffmann. Tra lo strombazzare delle auto, mi fermai per fotografarlo“. Il francobollo celebrativo, emesso  dal Vaticano per la Pasqua 2020, è un esemplare unico nel suo genere, proprio perché raffigurante un’opera di street art presente sulla balaustra di ponte Vittorio Emanuele a Roma.

 

In tribunale contro il Vaticano

Alessia Babrow mai avrebbe pensato che si sarebbe arrivati in tribunale, ma nel frattempo le cose sono cambiate. Soprattutto in termini di principio, come sottolinea l’artista italo-sudafricana: “Purtroppo questa storia è più grande di me; a segnalarmi l’esistenza del francobollo del Vaticano è stata una mia amica fotografa di street art, causandomi uno shock. Io ho un carattere riservato, tendo a fuggire dai riflettori; non firmo nemmeno molte delle mie installazioni. Vivo sola ai margini di un bosco fuori Roma; non ho la televisione e non leggo giornali. Far causa al Vaticano non rientrava proprio nei miei piani.

La questione non è economica, ma formale, racconta Alessia Babrow: “Ho contattato il Vaticano in via informale e ho trovato un muro di gomma. Addirittura, tramite un intermediario, mi hanno offerto come ‘risarcimento’ l’invito a un’udienza pubblica con il Papa, che ho cortesemente declinato“.

A quel punto l’artista è stata costretta a inviare due diffide per ritirare il prodotto dal commercio, senza ottenere risposta. “Nel frattempo però, ufficiosamente, dicevano al mio vecchio legale che al massimo sarebbero stati disposti a regalarmi un po’ di francobolli. Allora ho deciso di andare in tribunale“.

La richiesta presentata per il risarcimento è di 130 mila euro, ma l’artista ci tiene a precisare: “non è una questione di soldi, ma di principio. Io posso anche lavorare gratis, l’ho fatto in passato, ma non accetto che altri si arricchiscano sfruttando il mio lavoro senza consenso.

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