Sono innumerevoli i fattori della filiera agricola che influenzano le scelte estetiche e commerciali dei prodotti frutta e verdura. Analisi e focus che analizzano l’impatto delle regole della commercializzazione e dei sistemi di mercato sull’agricoltura, costretta a produrre frutta sempre esteticamente perfetta per riuscire a venderla presso i circuiti nazionali e internazionali dei supermercati. Un’impresa sempre più difficile a causa delle continue emergenze climatiche, che rende la produzione irregolare e i prodotti meno attraenti per forma e dimensione. Meccanismi che stanno generando problematiche per molte produzioni italiane: dalla coltivazione delle pere in Emilia-Romagna, che negli ultimi quindici anni ha visto calare le superfici di 6.000 ettari, alle arance di Sicilia, coltivate oggi su appena 82.000 ettari rispetto ai 107.000 di vent’anni fa, senza dimenticare il kiwi, la cui produzione a livello nazionale ha registrato dal 2014 al 2019 un calo di quasi 100.000 tonnellate, a causa di una malattia che sembra propagarsi proprio per l’aumento delle temperature.
Tali dinamiche aiutano a comprendere cosa vuol dire affrontare il tema dello spreco, il rapporto tra estetica del prodotto e supermercati. Attualmente, nella Grande Distribuzione Organizzataritroviamo solo i frutti più belli, lucidi e rotondi. Una parte significativa dell’enorme produzione mondiale non può accedere al mercato del fresco, perché ogni frutto deve rispondere a standard di commercializzazione e a severe norme europee, che non tengono conto dei tempi e della variabilità della natura, oltre che delle attuali problematiche legate alle variazioni climatiche. L’agricoltura non riesce più a rispettare gli standard estetici commerciali a causa dei cambiamenti climatici che modificano sempre più spesso forma e dimensioni dei prodotti di frutta e verdura. Tale processo ha generato richieste e appelli per un cambio di mentalità e nuove modalità di marketing che possano venire incontro all’insostenibilità dei meccanismi normativi e delle pratiche della grande distribuzione, che portano nelle case e sulle tavole “un food sempre più standardizzato”.
Oggi, il 33% dell’intera produzione alimentare non viene consumata e la richiesta delle organizzazioni di produttori e di agricoltori alle istituzioni è quella di intervenire con “modifiche urgenti” alle norme attuali per favorire la vendita dei prodotti con meno appeal, mentre l’appello alla GDO è quello di affrontare con creatività, conoscenza e formazione per il consumatore la situazione, per “promuovere una rivoluzione culturale tesa a favorire reali politiche di filiera coinvolgendo il settore agricolo”. Le organizzazioni di produttori e coltivatori sostengono che in questi anni, in Italia e in altri paesi, la frutta “brutta ma buona” è stata oggetto di campagne di valorizzazione creative che spesso hanno generato buoni risultati. La politica nazionale può adoperarsi “per incentivare la commercializzazione di una quota maggiore di prodotti fuori calibro”, acquistando frutta fresca con impercettibili imperfezioni e senza abbattere i prezzi. Il meccanismo potrebbe tamponare la crisi economica del comparto ortofrutticolo, valorizzare l’eccellenza italiana, offrire prodotti comunque di qualità ai consumatori e procedere nel diffondere campagne educative e formative al corretto consumo alimentare