Ri-fotografare a distanza di anni i territori colpiti da terremoti. Poi, sovrapporre le immagini attraverso software specifici e comprendere i cambiamenti sul paesaggio dal punto di vista sociale e ambientale. È quanto fatto con Landscape, Memory, and Adverse Shocks: The 1968 Earthquake in Belìce Valley (Sicily, Italy): A Case Study”. Hanno realizzato lo studio l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania e l’Accademia di Belle Arti di Palermo. È stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica ‘Land’ di MDPI.
La fotografia come strumento scientifico, divulgativo e formativo
Lo studio è nato dall’archivio del quotidiano “L’ora” di Palermo, custodito nella Biblioteca centrale della Regione siciliana. “Attraverso un lavoro di campagna svolto nel 2020, abbiamo ri-fotografato quegli stessi luoghi per rilevare la configurazione territoriale più recente e valutare l’impatto del sisma nel tempo”, spiega il ricercatore dell’INGV Mario Mattia.
La ri-fotografia e il confronto hanno permesso uno sguardo comparato su una zona della Sicilia che, dopo il sisma del 1968, ha atteso decenni per i primi segnali di rinascita. E non si parla solo di ripresa economica, ma anche sociale e culturale. “Il lavoro di ri-fotografia della Valle – spiega Mattia – ci ha consentito delle riflessioni che corroborano quanto si può ancora dedurre dall’osservazione diretta del territorio dal punto di vista, ad esempio, dell’abbandono e della museificazione delle rovine“. Questo per quanto ammette lo stesso Mattia 50 anni sono ancora “un periodo di tempo ancora troppo breve per permettere di leggere efficacemente i cambiamenti in un contesto territoriale che sembra essere rimasto ‘congelato’ nel tempo”.
Oltre che su questi aspetti, la riflessione che emerge è quella sul rischio sismico. “Nella Valle del Belìce, fino al terremoto del 1968, un rischio sismico stimato basso non aveva indotto alcuna azione di mitigazione del rischio né di gestione dei disastri – spiega Mattia -. Da questo punto di vista, l’impatto di immagini in cui gli effetti del terremoto si sovrappongono a quelle di preesistenti insediamenti urbani può stimolare la riflessione sulla percezione del rischio sismico nelle scuole e negli ambienti pubblici. La ri-fotografia, inoltre, può essere utilizzata a integrazione delle valutazioni per l’identificazione delle aree maggiormente vulnerabili della Valle. Primi fondamentali passi, questi, verso la comprensione del rischio sismico nel Belice e verso l’elaborazione e l’attuazione di correlate strategie di mitigazione”.
Tutto il lavoro sul volume stampato “Belìce Punto Zero”
Concludendo, il professor Gianni Petino dell’Università di Catania parla della collaborazione tra INGV, Dipartimento di Progettazione e Arti Applicate dell’Accademia di Belle Arti di Palermo e Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania all’interno del progetto “Belìce +50”. “Tale collaborazione – spiega Petino – ha già prodotto il primo volume a stampa edito dall’INGV dal titolo “Belìce Punto Zero” e vede adesso la realizzazione di un articolo scientifico sulla prestigiosa rivista Land-MDPI che prosegue il processo di analisi del territorio belicino. Le attività di ricerca hanno, tra gli altri, almeno due ordini di riferimento, uno nella mitigazione del rischio sismico e l’altro nel mantenimento della memoria delle comunità locali per una resilienza trasformativa.”