ISTAT, Italia resiliente: i dati su energia, lavoro, imprese, natalità

È un’Italia nel complesso resiliente quella che emerge dal Rapporto annuale dell’Istat per il 2023, presentato oggi alla Camera. Diversi gli aspetti su cui però l’Italia deve compiere dei grossi passi in avanti anche alla luce delle direttrici indicate dal Pnrr e della sua progressiva attuazione, secondo quanto evidenziato dall’Istat. Nel mondo imprenditoriale, ancora caratterizzato dalla forte prevalenza di pmi (solo l’1% è costituto da grandi aziende), diventano di fondamentale importanza l’innovazione, ricerca e sviluppo: in base alle analisi dell’istituto di statistica, le imprese che innovano registrano una maggiore produttività del 37% e se si aggiunge la ricerca e sviluppo si arriva a un +44%.

L’altro nodo critico è l’inclusione dei giovani e delle donne nel mondo del lavoro. Su questo fronte si registrano ancora le percentuali più basse d’Europa. Un dato per tutti: la quota dei neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, è al 20%, pari a 1,7 milioni di persone (dopo di noi solo la Romania).

L’Istat rileva peraltro come le donne che raggiungono i livelli più elevati di istruzione rimangano più a lungo al lavoro anche dopo aver avuto figli. La partecipazione al lavoro si lega direttamente, come dimostrato dai dati dell’Istituto, a quello della natalità (lo scorso anno si è registrato il record storico negativo inferiore a 400mila nascite) e dell’invecchiamento demografico, che modificano direttamente la struttura del mercato lavorativo. L’Istat propone un approccio qualitativo più che quantitativo al welfare, per consentire alle nuove generazioni di fare scelte genitoriali e progettare il futuro.

Grande attenzione viene data nel rapporto anche al tema dell‘ambiente, con le criticità legate soprattutto alla gestione delle risorse idriche, e della transizione ecologica, che può diventare un’ottima opportunità di inclusione lavorativa anche per donne e giovani. Ma va guidata in maniera tale da essere socialmente sostenibile e da non acuire le disuguaglianze e la trappola della povertà. Ma su questo fronte l’Italia segna anche dei punti a suo favore, innanzitutto nel campo delle rinnovabili dove siamo stati tra i paesi più performanti, anche grazie al sistema di incentivazioni. Si è inoltre registrato un rallentamento delle emissioni di gas serra. Buoni risultati anche per quel che riguarda le aree verdi nelle città, le aree marine protette e il patrimonio boschivo, che hanno registrato una crescita consistente.

L’Italia è stata uno dei paesi più colpiti dagli aumenti dei prezzi energetici, in particolare per quanto riguarda l’energia elettrica: il prezzo per uso domestico, che nel secondo semestre 2020 era più basso di quello di Germania e Spagna, ha subito nell’arco di due anni un incremento così ampio (+72,4%) da diventare il più alto tra le maggiori economie europee.

L’impatto della crescita dei prezzi dei beni energetici, sottolinea l’ISTAT, è stato relativamente più pesante per le famiglie con più bassi livelli di spesa: l’inflazione misurata dall’indice Ipca relativa ai beni energetici per le famiglie con i livelli di spesa più bassi è stata superiore di oltre 13 punti a quella registrata per le famiglie con i livelli di spesa più alti (rispettivamente, +60,6% e +47,5%).

Nel medio periodo il processo di transizione ecologica è destinato a modificare radicalmente le fonti e i prezzi dell’energia e, anche in virtù della sperequazione nell’impatto della variazione dei prezzi energetici, sottolinea l’Istat, “non si può dare per scontato che i costi e i benefici di questo processo siano distribuiti in modo equo tra le diverse fasce di popolazione”.

La lotta alla povertà energetica è un aspetto chiave delle recenti strategie di policy della Commissione Europea per favorire una transizione ecologica equa. In Italia, nel 2022, il 17,6% delle famiglie a rischio di povertà dichiara di non essere in grado di riscaldare adeguatamente l’abitazione, mentre il 10,1% dichiara arretrati nel pagamento delle bollette. Tra le maggiori economie europee solo la Germania mostra un’incidenza più bassa per entrambi gli indicatori.

Le famiglie che hanno una spesa energetica troppo elevata unite a quelle il cui reddito scende sotto la soglia di povertà, una volta fatto fronte alle spese energetiche, sono l’8,9 per cento delle residenti in Italia e il 27,1 per cento di quelle che ricevono in bolletta i bonus sociali, pensati per mitigare l’impatto sulle famiglie della crescita dei prezzi dei beni energetici.

L’importo medio dei bonus sociali (elettricità e gas insieme) è stimato, nel 2022, a 992 euro per famiglia beneficiaria e oltre il 90 per cento del valore totale della spesa per i bonus erogati è destinata alle famiglie appartenenti ai primi due quinti di reddito, le più povere. Le famiglie ancora in povertà energetica dopo aver ricevuto il bonus sono il 25,1 per cento: l’effetto del bonus nella riduzione della povertà energetica si attesta, dunque, su 2 punti percentuali

Il titolo di studio offre migliori opportunità di occupazione e reddito da lavoro, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno e per le donne. È il Rapporto Istat 2023 a certificare così le maggiori chance tra i 25 ed i 65 anni per chi conclude un ciclo universitario.“Rispetto agli individui con al più la licenza media nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è di 30 punti superiore. Questa differenza arriva a 35 punti nel Mezzogiorno, a 44 tra le donne e sfiora i 50 punti tra le donne del Mezzogiorno”, si legge.

Gap notevole anche nei redditi conseguiti: “i laureati italiani percepiscono in media un reddito netto pari a circa 2,5 volte quello dei lavoratori con al più la licenza media. Una differenza che nell’Ue a 27 è di circa 2,8 volte. Non solo. All’aumentare del titolo di studio della donna, si legge ancora nel rapporto Istat, ” cala significativamente la percentuale di coppie in cui l’uomo è l’unico percettore di reddito da lavoro: dal 47,4 per cento quando la donna ha al più una licenza media al 9,6 per cento se è laureata”. E riguarda ancora le donne l’effetto discriminante del titolo di studio: “non ha mai lavorato il 7,5% delle 30-34enni laureate contro il 38,3 per cento delle coetanee con al più la licenza media mentre è molto ridotta la differenza tra gli uomini (6,2 per cento rispetto a 8,5 per cento).

Ma anche per i laureati non sono tutte rose e fiori. “In Italia, nel 2021, annota ancora l’Istat, il tasso di espatrio di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne”. Un fenomeno, questo, differenziato sul territorio nazionale, che si associa col permanere “di una forte migrazione di giovani qualificati dalle province del Mezzogiorno verso quelle economicamente più dinamiche del Centro e, soprattutto, del Nord, che nel complesso registrano quindi un bilancio positivo”, si legge .

La crescita delle retribuzioni lorde annue per dipendente è stata di circa il 12% nel 2022 rispetto al 2013, pari alla metà di quella osservata nella media dell’Ue27 (+23%). La Spagna mostra una dinamica simile a quella italiana (+11,8 per cento), mentre quella della Francia (+18,3 per cento) e soprattutto della Germania (+27,1 per cento) sono decisamente più positive.

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