Iter della crisi rigorosamente costituzionale

La crisi aperta dal non voto dei Cinquestelle sulla fiducia al Dl Aiuti è stata formalizzata dalle dimissioni di  Mario Draghi al Coniglio dei Ministri  convocato ad hoc. Draghi si è recato al Colle e il Presidente  della Repubblica Sergio Mattarella ha respinto le dimissioni e rimandato l’Esecutivo  alle Camere, mercoledì prossimo. Una rigorosa risposta istituzionale, un percorso voluto dal Quirinale, e certamente concordato con Palazzo Chigi.

La crisi, tutta politica, infatti,  non è scaturita  da un atto parlamentare, perché il Governo in realtà non è stato sfiduciato e anzi   ha incassato la fiducia sul provvedimento e come tale avrebbe potuto avere seguito, ma con il non voto del M5S  la rottura politica nella maggioranza c’è stata e Draghi in Cdm ha stigmatizzato la sua decisione di dimettersi con poche parole: “La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo Governo dalla sua creazione non c’è più“.

La scelta di respingere le dimissioni da parte di Mattarella risponde al principio secondo il quale, a seguito della scelta del Premier di dimettersi essendo venute meno le condizioni che lo avevano convinto ad accettare l’incarico e formare un Governo  che avesse il maggior consenso possibile,  la maggioranza di unità nazionale si dovrà esprimere chiaramente in Parlamento per assumersi la responsabilità  di confermare o negare il sostegno al Governo . In realtà si tratta di una vera e propria crisi extraparlamentare che viene portata al vaglio del Parlamento.

Ciò detto, non è certo che Draghi accetti comunque di proseguire l’azione di Governo perché non è da escludere che il suo intervento in Parlamento di mercoledì prossimo, potrebbe essere semplicemente finalizzato a spiegare i motivi che lo hanno spinto a dimettersi, fatte salve eventuali novità derivanti dai molti incontri dei vari Gruppi che si svolgeranno nei cinque giorni precedenti.

(Foto di Agenzia DiRE)

 

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