La guerra dei cento giorni “vecchia di cento anni”

L’editoriale del Direttore

Sono passati 100 giorni dal quel 24 febbraio, quando la Federazione Russa per ordine di Vladimir Putin, invase l’Ucraina,  ma, lasciando di stucco e cogliendo di sorpresa l’Europa e, seppure a distanza,  il mondo intero.

Una guerra che, al contrario di ogni aspettativa, è stata condotta con un metodo che, come ha sottolineato nel suo recente discorso anche il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e’ stato tipico dei conflitti che si combattevano sui campi di battaglia nel lontano 1800. A quei tempi gli strateghi  ritenevano che fare la guerra equivalesse a conquistare  le città combattendo corpo a corpo, porta a porta, causando, indiscriminatamente, distruzione e morte di ogni cosa che appartenesse al nemico.

Nel 1900, a cominciare dalla “Grande Guerra”, si iniziò a comprendere che sebbene le guerre si dichiarassero   e si combattessero  sul campo, si potevano e soprattutto si dovevano risolvere sui tavoli dei Governi, delle diplomazie e della politica, limitandone, per quanto possibile,  la durata, i danni e il pesante tributo in vite umane.

Verso la  fine della seconda parte del 1900, dopo le guerre in Indocina, nella penisola del Sinai e a seguire in Cisgiordania, in Cecoslovacchia, nel Libano, in Somalia, in Afghanistan e nei Balcani, grazie all’avvento di nuove e più efficaci soluzioni tecnologiche, i “signori della guerra” hanno pensato che i conflitti si potessero  combattere anche sulle lunghissime distanze, schiacciando semplicemente i tasti di un computer, situato nelle super tecnologiche centrali operative di comando e controllo delle grandi potenze, sia sulla terraferma che  in mare a bordo delle navi o sui velivoli  supersonici da combattimento oggi anche senza pilota, avendo per obiettivo solo target mirati che potessero consentire il raggiungimento degli scopi senza causare danni collaterali di vaste proporzioni,  che coinvolgono sempre i civili, persone innocenti come donne, bambini e anziani.

L’insegnamento che, tuttavia, abbiamo tratto dai conflitti che la storia ci ha raccontato in questi tre secoli, nelle guerre elettroniche più recenti  e anche durante questi cento giorni di guerra tra Russia e Ucraina, è però sempre lo stesso: o con lo scudo e la spada o con l’aiuto dei satelliti e dei missili sparati dai droni, a farci le spese sono state  e sono sempre per lo più i civili, che vengono imprigionati, torturati, uccisi, depredati di ogni avere,  comprese le abitazioni sventrate dal fuoco dell’aggressione. In sostanza sono gli atroci effetti delle guerre  che i “signori della guerra” definiscono danni collaterali imprevisti e inevitabili, nonostante l’uso delle più sofisticate tecnologie per la cosiddetta guerra elettronica e aerospaziale.

I disastri dovuti alla belligeranza sono tali che anche la cinematografia mondiale ha tratto spunto, per le grandi produzioni di film d’azione,  dai danni collaterali prodotti da errori umani o volutamente a seguito dell’ausilio di armi tecnologicamente avanzatissime, ma non prive di possibilità di errore, di cui non si è mai certi di quanto sia stato involontario.

Dunque, la guerra dei 100 giorni in Ucraina ci ha insegnato che, come recita un detto popolare, al peggio non c’è mai fine. Infatti, dopo l’ultimo conflitto “corpo a corpo” che ha visto impegnate le forze armate dell’Occidente contro l’Iraq di Saddam Hussein, in Afghanistan, dopo il fallimento delle numerose missioni di pace tentate per riportare la pace  in paesi come la Siria, la Libia, la Somalia, il Libano e la Cisgiordania, non avremmo immaginato che nella fantasia di uno degli uomini più potenti al mondo, finanziariamente e  militarmente,  potesse balenare l’idea di tornare a fare la guerra come l’avrebbe fatta Napoleone Bonaparte e molto tempo  prima come l’avrebbero fatta gli  antichi romani: distruggere uomini e cose, fare tabula rasa e conquistare!

Ma quei tiranni, protagonisti di epoche diverse, soprattutto dal punto di vista dell’evoluzione culturale e sociale del pianeta, seppur mai giustificabili,  potevano in qualche modo essere compresi. Ma, ai tempi nostri, il caos devastante che sta mettendo in campo Vladimir Putin sfugge alla logica dell’uomo e del condottiero moderno,  sfugge vieppiù  al senso della vita e sfugge anche all’ingenuità, se di ingenuità si tratta, dei popoli europei che sono vissuti con la convinzione che Putin fosse un uomo dei nostri tempi e come tale avrebbe  dovuto sapere che le guerre ottocentesche non si fanno più, pur ammettendo ma non concedendo che abbia un senso dichiarare guerra.

Ma così non è stato, e il modo di condurre quella che Putin chiama  “operazione speciale”, facendo  ricorso  a metodi antichi,  ha letteralmente spiazzato studiosi e analisti di guerra, che forse erano anche pronti  a essere spettatori di una guerra moderna, di quella modernità di cui, peraltro,  la Federazione Russa dispone e che, incomprensibilmente,  Putin non ha voluto utilizzare.

Dall’altra parte c’è la preoccupazione e il sospetto di chi butta benzina sul fuoco,  di chi aveva bisogno di doversi riappropriare di un ruolo primario nel panorama delle potenze maggiori e che, in verità  si era un po’ perso e sfilacciatosi  anche grazie ad una politica dell’ex Presidente che considerava l’Europa un continente troppo lontano dagli interessi del proprio paese. L’Occidente si ritira dall’Afghanistan, ma questo gesto di grande popolarità irrita le industrie pesanti e fa sì che gli Stati Uniti in breve debbano trovare un escamotage gradito alle industrie e per non fare la guerra motu proprio,  decidono di  farla fare ad altri…

Di certo per le industrie pesanti legate alla difesa la cosa importante è produrre e questo indipendentemente per chi,  dove, come e quando, perché, non potrebbe essere diversamente, per i costruttori di armi l’importante è aumentare i fatturati e così possiamo immaginare che gli Stati Uniti abbiano detto all’Europa “vai avanti te…

Finira’ e soprattutto come finirà? Difficile azzardare qualsiasi previsione: di fatto,  l’unica certezza che abbiamo è che sono già trascorsi 100 giorni di guerra, lasciando sul campo migliaia di civili e soldati uccisi, altrettanti feriti, il 20% del territorio ucraino raso al suolo, l’Unione Europea in forte imbarazzo politicamente e militarmente dovendo fare da cuscinetto tra Occidente e i paesi dell’Est, l’economia mondiale in grandissima  incertezza  e spesso in gravi difficoltà. Ma, soprattutto,  con un feroce conflitto ancora drammaticamente in corso, in cui, a parte la solita trita e ritrita propaganda di guerra, nessuno dei due antagonisti può essere certo di avere vinto, in cui probabilmente nessuno dei due contendenti vincerà, perché entrambi dovranno leccarsi le ferite inferte profondamente dalle enormi perdite subite e in cui  sempre più pericolosamente affiora il rischio di un  allargamento del conflitto ai paesi europei e agli stessi Stati Uniti d’America.

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