L’editoriale del Direttore
La pena di morte non è una semplice condanna, ma come scriveva Cesare Beccaria nel suo libro “Dei delitti e delle pene”, è una “guerra di una nazione contro un proprio cittadino”.
Norberto Bobbio ricordava quanto fosse stata presente la campagna abolizionista nella storia millenaria dell’umanità e ha scritto – la condanna a morte in seguito a un procedimento non è più un omicidio per legittima difesa ma un omicidio legale, legalizzato, perpetrato a freddo, premeditato. Un omicidio che richiede degli esecutori, cioè persone autorizzate ad uccidere.
È per questo motivo che coloro che hanno subito l’esecuzione di una pena di morte inflitta dalle leggi di uno Stato ed eseguita da un uomo chiamato ancora oggi boia, ovvero colui che è autorizzato ad uccidere per conto dello Stato medesimo, e’ più corretto definirli uccisi e non giustiziati, perché nessun concetto di Giustizia dovrebbe ammettere la cancellazione del diritto alla vita, uno dei quattro diritti dell’uomo non derogabili sanciti dalle Nazioni Unite:
il diritto alla vita
il diritto alla libertà dalla schiavitù
il diritto alla libertà dalla tortura
il diritto all’impossibilità della retroattività dell’azione penale
La nostra Costituzione all’articolo 27 sancisce che le pene inflitte dalla Giustizia, non devono mai consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Ma la nostra Carta Costituzionale e anche la Corte Europea per la difesa dei diritti umani, ribadiscono che la lunga permanenza nei cosiddetti “bracci della morte”, da parte dei condannati in attesa dell’esecuzione della pena, e’ comunque da considerare un trattamento contrario al rispetto della dignità e dei diritti umani.
L’Italia è stato il primo Paese che ha presentato alla Commissione per la difesa dei Diritti Umani di Ginevra la richiesta di abolizione della pena capitale, in quanto violazione del diritto alla vita e all’Italia è stato universalmente riconosciuto un ruolo di avanguardia nel sostegno del principio abolizionista della pena di morte, proponendo anche la moratoria universale e chiedendo che la Commissione prendesse formalmente una posizione ufficiale sul tema.
La Giustizia serve a tutelare il cittadino da ogni azione illecita e illegale, ma non assicura l’infallibilità del giudizio e di conseguenza è sempre possibile che vengano commessi gli errori giudiziari, anche nel caso dell’ergastolo.
Tuttavia, nonostante i trent’anni previsti dall’ergastolo, al condannato è sempre offerta dalla legge la possibilità di ricorrere a ulteriori gradi di giudizio e di revisione dei procedimenti, che in alcuni casi possono comportare anche l’annullamento della pena inflitta in precedenza.
Nel caso, viceversa, della condanna a morte, la sentenza consente solo la richiesta della grazia da parte del condannato che spesso viene respinta e pertanto si tratta sempre di una sentenza che non ammette errori, ma in quanto irreversibile.
Qualora venisse revocata la pena, nessuno dei giustiziati, infatti, una volta ucciso, non potrebbe ritornare in vita, e noi sappiamo bene quanto la Giustizia umana a volte sia potuta cadere nell’errorre, cancellando in assoluto l’ipotesi della sua infallibilità.
Kenneth Smith è il primo cittadino americano condannato a morte e ucciso usando una maschera ad azoto. È stato infatti, giustiziato giovedì scorso, nell’Holman Correctional Facility di Atmore, in Alabama.
Negli Stati Uniti nel 2023, sono stati 24 i detenuti giustiziati in cinque Stati: Texas, Florida, Oklahoma, Missouri e Alabama, ma ad oggi, nel braccio della morte, ci sono circa 2.400 detenuti in attesa di essere uccisi, e anche se le condanne e le esecuzioni sono diminuite negli ultimi vent’anni, nel 2023 c’è stato un aumento.
La pena di morte viene comunque ancora adottata dai Governi di 57 Stati nel mondo. Negli USA, durante la presidenza di Donald Trump, le esecuzioni federali erano state riprese, ma Biden ha ristabilito la moratoria.
La legge sulla pena di morte e le conseguenti esecuzioni capitali rispecchiano l’idea di una giustizia che assimila gli Stati Uniti a molti paesi che il Governo americano, in sede delle Nazioni Uniti, condanna per le violazioni dei diritti umani.
Peraltro, proprio negli Stati in cui la pena di morte è ancora non è stata abolita si è assistito ad un aumento del 25% degli omicidi, a testimoniare che non ha neanche quell’effetto di deterrenza che in qualche modo viene utilizzato dagli Stati che adottano la pena capitale per giustificarne l’uso.
Amnesty International si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante ormai superata, abolita nella legge o nella pratica (de facto), da più di due terzi dei paesi nel mondo.
La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta erroneamente a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione.
Il numero delle esecuzioni capitali registrate nel 2022 è il più alto da cinque anni, a causa dell’aumento delle condanne a morte eseguite nell’area Medio Oriente – Africa del Nord.
Amnesty afferma di aver registrato 883 esecuzioni in 20 stati, con un aumento del 53 per cento rispetto al 2021. Il notevole incremento, che non tiene conto delle migliaia di condanne a morte presumibilmente eseguite in Cina, dipende dagli stati dell’area Medio Oriente – Africa del Nord, il cui totale è salito da 520 nel 2021 a 825 nel 2022.
Il dato preoccupante, sottolinea Amnesty International, è che il 90 per cento delle esecuzioni registrate, esclusa la Cina, ha avuto luogo in soli tre paesi dell’area Medio Oriente – Africa del Nord: in Iran sono aumentate da 314 nel 2021 a 576 nel 2022; in Arabia Saudita sono triplicate, da 65 nel 2021 a 196 nel 2022, il più alto numero registrato da Amnesty International in 30 anni; in Egitto, dove sono stati uccisi 24 prigionieri condannati alla pena capitale.
L’uso della pena di morte è rimasto circondato dal segreto in diversi stati come Cina, Corea del Nord e Vietnam e pertanto, il numero reale delle esecuzioni è probabilmente molto più alto.
Sebbene non sia mai stato comunicato ufficialmente quante volte sia stata applicata la pena di morte in Cina che è rimasta in testa alla lista delle esecuzioni, seguita da Iran, Arabia Saudita, Egitto e Stati Uniti d’America.