L’impatto dei rischi climatici sui finanziamenti bancari in Italia

Quest’anno nella Relazione Annuale della Banca d’Italia è prevista una sezione monografica dedicata al coinvolgimento delle banche centrali sul versante  dei rischi climatici. In particolare, vi si ricorda che la nostra Banca Centrale partecipa a iniziative internazionali, come la rete globale di banche centrali e di autorità di supervisione – Network for Greening the Financial System, che dal 2017 coordina le analisi “per rafforzare il ruolo del sistema finanziario nel gestire i rischi climatici e nel reindirizzare i flussi finanziari verso gli investimenti sostenibili”.

Inoltre, nell’ambito della presidenza italiana del G20 di quest’anno la Banca d’Italia con il MEF ha promosso la creazione del Sustainable Finance Working Group con gli obiettivi di incentivare le migliori pratiche di finanza sostenibile e di promuovere “la transizione verso economie e società più verdi, resilienti ed inclusive”.

Passando, poi, al tema dei rischi connessi ai fattori climatici e ricordato che possono essere di due tipi, “fisico”, legato al verificarsi di fenomeni naturali e di “transizione”, connesso al passaggio a nuove tecnologie produttive per ridurre le emissioni di gas serra, la domanda principale da porsi è : qual è il loro impatto sul nostro sistema bancario?

Per rispondere a questa domanda e, quindi, per valutare l’effettivo rischio di credito che grava sulle banche, occorre procedere ad una valutazione complessa che, partendo dai dati sulle esposizioni, tenga conto anche delle stime della probabilità del verificarsi di eventi naturali estremi e/o dell’adozione di politiche climatiche incisive e inattese, nonché della conseguente perdita da registrare sulle singole esposizioni.

In ogni caso, stando alle valutazioni della Banca d’Italia,  per quanto riguarda il nostro Paese, alla fine del 2019, la quota di finanziamenti bancari a famiglie e imprese residenti in territori ad alto rischio fisico era pari al 28%.

Se, poi, si prende in considerazione il comparto delle sole imprese, per le quali è possibile  stimare anche il rischio di transizione, alla stessa data, risultava che ne era toccato il 37% ; il rischio fisico le concerneva per il 15%, mentre, infine era limitata al 13% dei finanziamenti la quota di imprese soggette ad entrambe le tipologie di rischio. Per la Banca d’Italia queste dimensioni del fenomeno sono giudicate in linea con quelle degli altri Paesi.

In definitiva, si tratta di cifre, che, al netto di possibili rettifiche sempre possibili quando si ha a che fare con valori stimati, giustificano inconfutabilmente, sia il livello di attenzione della nostra Banche Centrale e degli intermediari finanziari italiani verso i rischi climatici, sia l’ulteriore valenza di cui, per evidente necessità, si arricchisce la capacità gestionale del rischio dei secondi.

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