Operazione “Perseverance” contro la ‘Ndrangheta emiliana: 29 indagati

‘Ndrangheta – Questa mattina, la Polizia di Stato e i Carabinieri hanno dato esecuzione a 35 perquisizioni nelle province di Reggio Emilia, Modena, Ancona, Parma, Crotone,Milano, Prato, Pistoia e Latina. Saranno eseguite 10 misure cautelari: 7 custodie in carcere, due arresti domiciliari e una misura interdittiva. 

I provvedimenti sono stati emessi dal Gip presso il Tribunale di Bologna su richiesta della Procura della Repubblica, a seguito di investigazioni coordinate dal Procuratore della Repubblica Dott. Giuseppe Amato e Dott.ssa Beatrice Ronchi e che complessivamente vedono indagati 29 cittadini italiani.

Al centro dell’indagine vi è l’indiziato Giuseppe Sarcone Grande, vertice dell’associazione di matrice ‘ndranghetista operante in Emilia. Si tratterrebbe dell’ultimo fratello in libertà di Nicolino, Gianluigi e Carmine, arrestati e condannati.

Gli indagati sono ritenuti indiziati di reati di: appartenenza ad associazione di tipo mafioso, finalizzata all’attività di recupero credito di natura estorsiva e al trasferimento fraudolento di valori mediante l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, ovvero di agevolare la commissione dei delitti di riciclaggio e di reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, anche tramite falsità ideologiche in atti pubblici commesse da pubblici ufficiali e da privati.

Tutto è avvenuto partendo dall’indagine Aemilia che ha avuto inizio dal 2010 al 2015 e l’indagine Grimilde, dal 2015 al 2019. Le stesse hanno portato l’attenzione alla figura di Giuseppe Sarcone Grande.

L’indagine rafforza la conoscenza dell’organigramma del sodalizio della ‘Ndrangheta nell’ emiliano, storicamente legato alla cosca Grande Aracri di Cutro ed operante in autonomia nel territorio emiliano, con enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali della economia e della vita civile. L’indagine ha permesso di accertare come Giuseppe, per il tramite di prestanome, abbia gestito attività economiche (sale scommesse, officine, carrozzerie…) nelle province di Modena e Reggio Emilia nel tentativo di salvaguardare il proprio patrimonio da prevedibili sequestri.

L’attività ha consentito di sequestrare 5 società, quattro complessi immobiliari oltre a un’autovettura, tutto risultato riconducibile alla nota famiglia calabrese. Tra i reati contestati agli altri indagati nel procedimento figurano anche quelli di trasferimento fraudolento di valori e falsità ideologica. Alcuni episodi riguardano anche il tentativo di acquisire, tramite prestanome, la gestione di un’area di servizio in provincia di Reggio Emilia e di una sala slot e scommesse nella città di Modena, attraverso la costituzione, da parte di soggetti compiacenti, di apposite società, tutte di fatto occultamente gestite da Sarcone.

Le indagini svolte dalla Polizia di Stato di Reggio Emilia si sono concentrate su Salvatore Muto, fratello di Luigi e Antonio, condannati nel processo Aemilia per reato di associazione di stampo mafioso, rimasto in libertà e che metteva in contatto la cosca emiliana con una coppia di cittadini modenesi incensurati.

Costoro affidavano al sodalizio ‘ndranghetistico emiliano un primo incarico consistente nel provocare lesioni gravissime ad una donna che, poiché si prendeva cura di parenti in età avanzata, era suo malgrado divenuta di ostacolo per i coniugi all’acquisizione illecita di un ingente patrimonio posseduto dagli anziani. L’immediata attività di contrasto della Squadra Mobile reggiana, effettuata attraverso perquisizioni e verbalizzazioni, induceva i committenti ad abbandonare l’obiettivo per il timore degli inquirenti.

Un secondo incarico che i coniugi modenesi affidavano alla consorteria di ‘ndrangheta emiliana era il “recupero crediti” di natura estorsiva di una ingente somma di denaro (circa 2 milioni di euro] di probabile provenienza illecita. Per intimorire il debitore, Muto si rivolgeva a Domenico Cordua e Giuseppe Friyio, a carico dei quali il G.I.P. Distrettuale rilevava gravi e concordanti indizi in ordine all’appartenenza alla consorteria ‘ndranghetistica operante in Emilia; Cordua e Friyio si appostavano presso l’abitazione in Toscana del debitore e gli consegnavano i documenti del presunto credito, ma accompagnati, con evidente scopo intimidatorio, dalle foto di suoi stretti parenti. L’intervento consentiva di registrare l’entrata in scena di Giuseppe Sarcone Grande.

L’azione si svolgeva con dinamiche tipicamente mafiose poiché le “trattative” sull’esistenza ed esigibilità del credito venivano affrontate nel corso di riunioni di ‘ndrangheta che venivano, puntualmente, documentate dalla Squadra Mobile reggiana.

Nel corso delle indagini è stata sequestrata un’arma comune da sparo con matricola abrasa illegalmente detenuta e portata da Friyio e Cordua.

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