criptoattività

Pirateria informatica e criptoattività

In tema di criptoattività un aspetto, di cui finora si è parlato relativamente poco, ma che, certamente, non è irrilevante, è quello legato alla sicurezza con cui avvengono le transazioni sulle piattaforme digitali decentralizzate.

Da un recente report curato da Chainanalysis, società statunitense attiva nell’intelligence per la criptoeconomia, emerge che nel primo trimestre di quest’anno i furti perpetrati nell’ambito della criptoeconomia a danno delle piattaforme digitali decentralizzate sono ammontati a un valore di 1,3miliardi di dollari USA; e di essi, una percentuale altissima (97%) è stata perpetrata a danno delle piattaforme finanziarie digitali decentralizzate.

Ha, certamente, influito su questo risultato negativo il furto commesso ai danni del Ronin network per un valore di oltre 600 milioni di dollari USA; ma, ciò non toglie che il fenomeno richiede la massima attenzione, anche alla luce del suo trend di crescita nell’ultimo biennio. Infatti, se nel 2020 i furti a danno delle piattaforme decentralizzate costituivano il 30% del totale, già l’anno dopo la loro incidenza era passata al 71%, prima di compiere l’ulteriore balzo nel primo trimestre di quest’anno.

Quali le cause di questa impennata? Oltre al marcato aumento dei volumi delle transazioni effettuate, è stato rilevato che la pirateria si avvale di siti in cui vengono trasferiti in modo parcellizzato i frutti dei furti, mischiandoli alle altre transazioni e rendendo, quindi, di fatto impossibile risalire all’autore del furto stesso.

Per comprendere a pieno il valore economico di questa forma di patologia criminale e del suo potenziale di minaccia basta ricordare il valore complessivo, sia pure stimato, dei depositi, presenti nelle piattaforme finanziarie digitali decentralizzate, che tra il 2021 e questa prima parte del 2022 è passato da poco più di 23 miliardi di dollari USA a circa 210.

Alla crescita dei volumi di transazioni sulle piattaforme, legata anche alla diffusione dei cosiddetti smart contract, che identificano contratti costituiti da stringhe di software con esecuzione automatica dell’operatività contrattualmente prevista al verificarsi di specifiche condizioni, è corrisposta, poi, la proliferazione di protocolli applicativi non sempre esenti da pecche in termini di sicurezza e di affidabilità.

Si tenga, infine, conto per una valutazione complessiva del fenomeno della diffusione della pirateria a danno delle criptoattività, anche dell’approccio di tipo open source scelto da molte delle piattaforme, che, se da un lato ne esalta le caratteristiche di democraticità e trasparenza, dall’altro offre il fianco, più agevomente a tentativi di violazione, qualora  non si sia, nel frattempo, provveduto a sviluppare e ad aggiornare coerenti sistemi di sicurezza.

E’ quindi fortemente auspicabile che la normativa europea MiCAR –  Market in Crypto Assets Regulation -, attualmente all’esame del Trilogo dell’Unione Europea e che dovrebbe entrare in vigore entro il 2024,  venga arricchita nel suo impianto originario, sia di regole autorizzative per le Autorità di Vigilanza, sia comportamentali per gli operatori del mercato delle cripoattività, per fronteggiare più efficacemente le esigenze di tutela dei consumatori di questi strumenti finanziari e di contenimento del crescente fenomeno dei furti.

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