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Processo Ruby Ter, oggi la sentenza per Silvio Berlusconi

È attesa per oggi, davanti ai giudici della settima sezione penale del tribunale di Milano, la sentenza per Silvio Berlusconi e altri 28 imputati accusati, a vario titolo, di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza nel processo Ruby ter. La sentenza chiude un processo durato sei anni e in cui la procura meneghina accusa il leader di Forza Italia di aver pagato – a partire dal novembre 2011 e fino al 2015 – circa 10 milioni di euro alle giovani ospiti di Arcore per essere reticenti o mentire durante i processi Ruby e Ruby bis sulle serate di villa San Martino. Un’accusa da cui l’ex Premier si è sempre difeso parlando di “generosità” per ricompensare chi si è visto rovinare la vita da un’inchiesta giudiziaria presto esplosa sulla stampa.

Per Berlusconi l’accusa ha chiesto una condanna a 6 anni di carcere. “Siamo di fronte a un processo per corruzione per pubblici proclami dove Berlusconi ha detto pubblicamente di aiutare qualcuna delle imputate. L’accordo corruttivo è stato per caso individuato? No, non ve n’è neanche un germoglio, tutti gli elementi sono di carattere indiziario e inidonei a ritenere compiuto il reato”, le parole dell’avvocato Federico Cecconi che con il collega Franco Coppi rivendica l’assoluzione, la difesa.

Rischiano una condanna 20 ragazze fra cui anche ‘Ruby’

A rischiare una condanna sono 20 ragazze (richieste di pena tra i 3 e 5 anni) accusate di falsa testimonianza e corruzione, tra cui la stessa Karima El Marough detta Ruby (5 anni) e l’ex compagno Luca Risso (6 anni e 6 mesi, pena più alta per falsa testimonianza e riciclaggio). Ma a processo c’è anche gente vicina a Berlusconi come l’ex senatrice Maria Rosaria Rossi (richiesta 1 anno e 4 mesi) e il giornalista Carlo Rossella. Solo per un imputato (Luca Pedrini) è stata chiesta l’assoluzione.

In piedi, contro il leader di Forza Italia, restano solo le affermazioni di Barbara Guerra e di Iris Berardi, mentre da ieri l’Avvocatura dello Stato ha fatto un passo indietro. Dopo aver chiesto un risarcimento di 10,8 milioni di euro per il “discredito planetario” causato dall’indagine sull’allora presidente del Consiglio, ora rinuncia a ogni pretesa.

Il verdetto arriva dopo un processo lungo e tortuoso (iniziato l’11 gennaio 2017), su cui si sono espressi quattro gup e su cui hanno pesato la competenza territoriale, i legittimi impedimenti e lo stop per la pandemia. E sul processo ha anche aleggiato il ‘mistero’ della morte di Imane Fadil, ritenuta teste chiave dell’accusa e morta di aplasia midollare l’1 marzo 2019, dopo un mese di agonia in ospedale. “La veridicità” delle affermazioni rese come persona informata sui fatti “ci avevano davvero convinto che nelle sue dichiarazioni non ci fosse nessun tentativo di alzare prezzo di un eventuale silenzio, ma ci fosse una ferita profonda e ancora aperta”, le parole della pubblica accusa.

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