Iran: il Presidente Hassan Rouhani ha ufficialmente inaugurato una linea di 164 cosiddette centrifughe IR-6 e un’altra delle 30 IR-5, installate nel complesso nucleare di Natanz. L’inaugurazione è avvnura con una cerimonia in videoconferenza trasmessa dalla televisione di Stato.
L’Iran ha, da tempo, avviato nuove centrifughe per l’arricchimento dell’uranio: lo ha reso noto la TV di Stato. Teheran ha annunciato la messa in servizio di nuove centrifughe modernizzate per arricchire più rapidamente l’uranio il cui uso è vietato dall’accordo sul nucleare del 2015.
L’Iran è un produttore di uranio, con circa 5 tonnellate prodotte ogni anno; la sua produzione storica al 2006 è di 20t. Possiede risorse uranifere, pari a 1.600 tonnellate a <130$/kg nel “Red Book” del 2007. Nel deserto dell’Iran centrale, nei pressi della città di Yadz, si trova la miniera di Saghand, da dove si estrae minerale molto ricco di uranio.
La città di Isfahan ospita un impianto di conversione di ossido di uranio in (il cosiddetto yellowcake) in esafluoruro di uranio ovvero il gas di uranio impiegato per arricchire l’uranio nelle centrifughe nucleari. A Natanz, inoltre, sorge un impianto che ospita 6.000 centrifughe, mentre a Qom, secondo fonti di intelligence USA, sarebbe in costruzione un impianto simile segreto in grado di contenere 3.000 centrifughe.
Proprio a Natanz, dove l’estate scorsa vi era stata una misteriosa (in quanto mai spiegata) esplosione, dopo l’inaugurazione della nuova centrifuga, si è verificato un ennesimo grave incidente all’impianto elettrico, come spiega il servizio di SkyTg24 che segue. “E’ stato un atto terroristico” ha detto Ali Akbar Salehi, Capo dell’Organizzazione per l’Energia Atomica Iraniana, in una dichiarazione letta alla tv e senza precisare chi lo avrebbe rivendicato. “La Repubblica islamica del’Iran – ha concluso – sottolinea la necessità per la comunità internazionale e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica di affrontare questo atto di terrorismo nucleare.”
Ma a cosa servono le centrifughe dell’Iran e perchè fanno paura?
Le centrifughe sono una tecnologia molto ben collaudata, che possiedono in pochi (tra questi pochi, anche Israele, Pakistan e Iran). Il nome “centrifuga” descrive molto bene il meccanismo: la macchina viene caricata di esafluoruro di uranio (uranio naturale trasformato in gas), fatto vorticosamente ruotare a migliaia di giri al minuto. Per effetto della forza centrifuga i due tipi di uranio si separano ed è poi facile isolare l’uranio 235, molto concentrato.
In passato le centrifughe richiedevano molta energia per ottenere buoni risultati, mentre quelle dell’attuale generazione producono ottimo uranio arricchito con un uso di energia contenuto. Senza entrare in questioni di geopolitica o di sicurezza globale, la relativa facilità con cui oggi si può produrre materiale altamente fissile spiega perché la Nato e gli Stati Uniti vogliono che l’Iran abbia un numero limitato di centrifughe. In tal modo si limita la quantità di uranio 235 (detto anche arricchito e il più pericoloso da un punto divista militare) che il Paese può produrre.
Utilizzo dell’uranio in Iran e nel mondo
L’uranio arricchito è un componente che può essere utilizzato per le armi nucleari ed è molto spesso indispensabile per produzione di energia nucleare. L’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica (IAEA) è l’agenzia internazionale sotto gli auspici delle Nazioni Unite che ha tra i suoi scopi il compito di monitorare e controllare le forniture di uranio arricchito ed i processi correlati nello sforzo di assicurare la sicurezza della produzione di energia nucleare a livello mondiale ed al contempo mitigare la diffusione di tecnologie, materiali ed attrezzature che possano consentire la costruzione di armi nucleari.
L’uranio è comunque un metallo pesante, detto anche a elevata densità, presente in natura: infatti, se ne rilevano piccole quantità nel suolo, nell’aria, nell’acqua e nel cibo. Per le sue caratteristiche chimiche e fisiche viene utilizzato come combustibile per la produzione di energia nelle centrali nucleari. Per poter essere utilizzato come combustibile nei reattori nucleari l’uranio deve però subire un processo particolare in cui una delle componenti naturalmente presente nell’uranio stesso (235U) deve essere artificialmente aumentata rispetto alla percentuale normalmente presente. Per la realizzazione di elementi di combustibile nucleare è quindi necessario produrre uranio arricchito.
L’uranio che risulta come prodotto di scarto del processo di produzione dell’uranio arricchito è noto come uranio impoverito, dato che la percentuale della componente di 235U è inferiore a quella con cui è presente in natura. L’uranio impoverito è un po’ meno radioattivo dell’uranio naturale (IAEA). Esso emette principalmente radiazioni poco penetranti (particelle alfa e beta) ed è una modesta sorgente d’irraggiamento esterno, così come lo è l’uranio naturale. Infatti, le particelle alfa possono essere bloccate anche da un foglio di carta, mentre la radiazione beta è schermata già dai vestiti.
Gli effetti dell’uranio sul corpo umano
Se l’uranio naturale o impoverito è inalato o ingerito, si verifica una contaminazione interna al corpo. Infatti, nel caso di introduzione dell’uranio attraverso cibo, acqua o altra sostanza contaminata, o per inalazione, può avvenire un accumulo di questo elemento in alcuni organi, detti organi bersaglio. Nel caso di ingestione o di inalazione di composti solubili (vale a dire facilmente assorbibili dai fluidi corporei) contenenti uranio, l’effetto sulla salute è principalmente legato alla tossicità dell’uranio stesso che, oltre che essere radioattivo, è un metallo pesante.
Nel caso di composti solubili, tra gli organi più danneggiati dall’uranio ci sono i reni (organi bersaglio) in cui possono manifestarsi delle forme di infiammazione (nefriti). Per questo motivo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indicato un valore limite della concentrazione di uranio nell’acqua potabile pari a 30 microgrammi per litro.
La tossicità chimica dell’uranio naturale o impoverito si manifesta anche nel caso ci sia contatto con l’organismo attraverso ferite. Questa via di introduzione è relativa al solo personale militare in zona di operazioni. Nel caso di inalazione di composti insolubili (ossia difficilmente assorbibili dai fluidi corporei) contenenti uranio, i principali organi bersaglio sono l’apparato respiratorio e i linfonodi del mediastino; l’uranio, essendo radioattivo, ne irraggia i tessuti e può determinare l’insorgenza di tumori del polmoe. Gli effetti cancerogeni sui linfonodi sono ancora oggetto di studio.
Il caso dei militari deceduti e le conclusioni dell’Istituto Superiore di Sanità
Dalla fine degli anni Novanta sino al 2003, soprattutto dopo aver partecipato alle missioni di peacekeeping nei Balcani e in Iraq, circa un migliaio di membri dell’EsercitoIitaliano hanno cominciato a sviluppare patologie in alcuni casi tumorali, apparentemente per motivi inspiegabili: sino a qualche anno fa 366 sono stati i militari deceduti e 7500 quelli amalati negli ultimi due decenni, secondo i dati del Centro Studi Osservatorio militare.
Come è stato stabilito da una recente sentenza del massimo organo consultivo dello Stato, ( sentenza del Consiglio di Stato, Sez. 4, 30 novembre 2020, n. 7560 – Esposizione all’uranio impoverito dei militari in missione all’estero) la causa presunta delle morti e delle malattie è stata identificata nell’uranio impoverito. E’ un metallo pesante spesso utilizzato in ambito militare per la fabbricazione di munizioni e proiettili e che può rivelarsi tossico per l’organismo umano. L’uso di proiettili e blindature all’uranio non è però vietato da nessun trattato internazionale, nonostante se ne conosca da tempo la potenziale pericolosità e in diverse occasioni le Nazioni Unite abbiano espresso preoccupazione riguardo ai rischi per militari e civili.
Per spiegare la contaminazione dei nostri militari, l’ipotesi più accreditata dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta del 2006, fu che l’uranio, quando colpisce determinate superfici come le corazzature dei carri armati o dei depositi di munizioni, si polverizza fino ad assumere le dimensioni di nanoparticelle. Questi corpuscoli sarebbero in grado di mescolarsi all’acqua e all’aria dei territori colpiti dai bombardamenti con munizioni all’uranio. Nel 1999, quando cominciarono a emergere dubbi sulla pericolosità dell’utilizzo dell’uranio impoverito nei teatri di guerra, i militari italiani per primi, l’opinione pubblica, la politica e gli attivisti cominciarono a chiedere maggiore vigilanza sulle missioni all’estero e risposte sull’incolumità dei militari impegnati.
Presenza di uranio non solo in Iran, ma anche in zone di conflitto
L’uranio impoverito è presente in molti teatri di guerra, in particolare nei Balcani, in Albania, in Somalia, in Iraq e in Afghanistan, dove hanno operato le Forze Armate italiane insieme al Contingente internazionale. La Nato del resto non ha mai nascosto di aver utilizzato bombe all’uranio impoverito. Il rischio di presenza di metalli pesanti e nello specifico di uranio impoverito non è una novità, ma i militari che il Governo italiano inviò nelle diverse missioni, non furono mai di dotati di un servizio prevenzione e protezione in grado di compiere tutte le azioni necessarie per prevenire e proteggere il personale militare impiegato.
Esiste una video-intervista abbastanza inquietante, se quanto riferito dall’intervistato risultasse vero. Un giornalista del “Fatto Quotidiano” intervista il Tenente Colonnello Fabio Filomeni. L’ufficiale, oggi in pensione, era effettivo al 9° Reggimento Colonnello Moschin, Reparto di eccellenza delle nostre Forze Armate e specializzato nello svolgimento di attività ad altissimo rischio. L’ufficiale riferisce di essere stato in Iraq con il compito di Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione ma di non essere mai stato in grado di svolgere il prprio compito per mancanza di strumenti idonei. L’unica difesa possibile per il personale militare impiegato in quei territori, secondo Filomeni, è stato ridurne la permanenza. Probabilmente, proprio per questo motivo la durata della missione è tutt’oggi fissata dai Comandi di Vertice Interforze in un massimo di 4-6 mesi. L’esposizione ridotta nei teritori in cui si sospetta la presenza di metalli pesanti e di particelle di uranio in particolare, consentirebbe, infatti, una migliore protezione e sicurezza.
Errori del passato che non devono opacizzare quanto le nostre Forze Armate hanno svolto nell’ambito delle operazioni CIMIC ovvero di collaborazione civile e militare nel campo della ricostruzione di infrastrutture andate distrutte durante i conflitti, come dell’assistenza sanitaria alla popolazione civile e in particolare ai minori. Oggi, a fronte dell’esperienza maturata nei vari teatri di guerra, l’Esercito Italiano, come dimostra il video realizzato per il programma Superquark condotto da Piero Angela, dispone di un Reparto ad ata specializzazione a cui compete la formazione degli appartenenti alle varie Forze Armate nelle tecniche di autoprotezione dal rischio nucleare, biologico e chimico. Il Reparto di stanza a Rieti dispone di una città virtuale dove gli specialisti del 7° Reggimento Difesa NBC si esercitano per fronteggiare, ovunque, o meglio qualsiasi emergenza!