Bankitalia, Signorini (DG) : prospettive per l’economia italiana nel 2022

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento integrale al Webinar Swiss Re del Direttore Generale e Presidente dell’IVASS, Professore Dottor Luigi Federico Signorini.

Dopo essersi contratto del 9% circa nel 2020, il PIL italiano ha ripreso a crescere lo scorso anno, in misura particolarmente accentuata nei trimestri centrali, grazie al successo della campagna di vaccinazione e al conseguente allentamento delle misure di contenimento. Nonostante il recupero dell’attività abbia perso vigore nei mesi più recenti, il prodotto è ormai prossimo ai livelli precedenti lo scoppio dell’epidemia.  Gli indicatori ad alta frequenza, quali i consumi energetici e i flussi di trasporto, sono compatibili con un rallentamento sia nella manifattura – che risente principalmente delle tensioni sulle catene globali del valore – sia nei servizi, su cui pesa in particolare l’atteggiamento di cautela che è tornato a caratterizzare i comportamenti di spesa delle famiglie a fronte della risalita dei contagi e dei rincari dei beni energetici. Questi ultimi hanno inciso fortemente sull’inflazione al consumo che, dopo aver oscillato su valori prossimi all’1 per cento nella prima metà dello scorso anno, dall’estate ha iniziato a salire rapidamente, portandosi in dicembre al 4,2%.


Oltre la metà delle imprese intervistate nella nostra Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita, condotta tra fine novembre e metà dicembre, prima che il peggioramento del quadro epidemiologico si acuisse, ha segnalato che la risalita dei contagi a partire dall’autunno scorso rappresentava un fattore di rischio per la propria attività. Tensioni nelle catene di fornitura sono state riportate da più del 70 per cento delle aziende manifatturiere e dal 35% di quelle dei servizi partecipanti all’indagine. Tra di esse, il 60% indica che queste tensioni avrebbero effetti negativi sulla propria attività nel primo trimestre di quest’anno; il 70% che comporterebbero un rialzo dei prezzi di vendita.

Analisi degli esperti della Banca d’Italia suggeriscono che la scarsità di input si associa alla difficoltà dell’offerta di tenere il passo con la ripresa della domanda; gli effetti delle “strozzature” sono eterogenei tra settori e colpiscono maggiormente specifici comparti, come quello automobilistico; finora in Italia sono stati meno pervasivi che in Germania e in Francia. Oltre che dalle difficoltà di approvvigionamento, spinte inflative sui listini provengono dal recente rincaro dei costi energetici, come indicato da oltre i due terzi delle imprese intervistate. In Europa i prezzi all’ingrosso del gas hanno registrato rialzi senza precedenti per rapidità e intensità, raggiungendo un picco alla fine di dicembre pari a quasi dieci volte i livelli di inizio 2021; tale aumento è stato molto superiore a quello del petrolio, pur anch’esso considerevole (attorno al 70%). Vi hanno concorso molteplici fattori sia di offerta sia di domanda, comuni ad altre regioni del mondo, cui se ne sono aggiunti altri specifici al mercato del gas europeo.  Alcuni di questi fattori sono di natura temporanea, come le condizioni climatiche, la ripresa economica intensa dopo la crisi pandemica e le strozzature dal lato dell’offerta a livello globale per manutenzione e guasti ai siti estrattivi e alle infrastrutture. Altri sono più strutturali, come la transizione energetica. Pesano inoltre fattori di natura geopolitica, la cui rilevanza e persistenza in prospettiva non sono facili da valutare.

In Italia il rialzo dei prezzi del gas si è riflesso sui costi di generazione dell’elettricità e sulle bollette energetiche di imprese e famiglie.  L’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) ha deliberato aumenti elevati delle tariffe dell’energia elettrica e del gas, seppure attenuati dagli interventi del Governo, nella seconda metà del 2021 e ulteriormente nel primo trimestre del 2022. Il Bollettino economico che sarà pubblicato venerdì prossimo fornirà una descrizione dettagliata del quadro congiunturale del Paese e delle nostre previsioni macroeconomiche aggiornate per il medio termine. Mi limito, qui, pertanto, a tratteggiare a grandi linee alcune delle principali tendenze. L’evoluzione della pandemia, le difficoltà di approvvigionamento degli input produttivi e i rincari energetici continueranno a essere i fattori determinanti per le prospettive di crescita nel breve termine.

Secondo le nostre più recenti valutazioni, l’attività economica crescerebbe quest’anno a ritmi prossimi al 4 per cento. Tali valutazioni si basano sull’ipotesi che l’attuale risalita dei contagi non comporti un forte inasprimento delle misure di contenimento, grazie ai progressi della campagna di vaccinazioni e all’esperienza maturata nel convivere con l’epidemia, adottando provvedimenti più mirati e minimizzandone così le ripercussioni negative sull’economia. La previsione presuppone inoltre una graduale risoluzione delle strozzature dal lato dell’offerta, all’origine del recente rallentamento del commercio globale. L’attività economica tornerebbe a espandersi in misura sostenuta dalla primavera, trainata principalmente dalla domanda interna. I consumi delle famiglie, frenati nella prima parte dell’anno dall’incertezza sull’evoluzione dell’epidemia e dagli effetti del rincaro dei beni energetici, tornerebbero a espandersi a ritmi robusti, grazie alle misure di stimolo, al miglioramento della situazione occupazionale e a un graduale ritorno della propensione al risparmio verso i più contenuti livelli precedenti la crisi pandemica.

Gli investimenti, dopo il forte rialzo registrato lo scorso anno, continuerebbero a crescere a tassi elevati, sospinti dal miglioramento delle prospettive di crescita, da condizioni di finanziamento distese e dalle risorse a sostegno degli investimenti pubblici e privati previste nel PNRR e nella legge di bilancio. Gli effetti dei rincari dei beni energetici sulla dinamica dei prezzi al consumo si attenuerebbero progressivamente, esaurendosi verso la fine di quest’anno. Le componenti di fondo dell’inflazione mostrerebbero una dinamica più contenuta, riflettendo la progressiva riduzione dei margini di capacità inutilizzata e la graduale accelerazione delle retribuzioni.

L’incertezza attorno a questo scenario di crescita è assai elevata. Nel breve termine è principalmente connessa al quadro epidemiologico, il cui deterioramento potrebbe determinare limitazioni più stringenti alla mobilità e incidere sulla fiducia di consumatori e imprese ostacolando la ripresa dell’attività economica. Ulteriori fattori di rischio sono legati a una più accentuata trasmissione all’economia reale delle tensioni sul lato dell’offerta osservate negli ultimi mesi e a un più prolungato indebolimento del commercio mondiale. Nel medio termine, le proiezioni rimangono condizionate alla piena e tempestiva attuazione dei programmi di spesa inclusi nella manovra di bilancio e degli interventi previsti dal PNRR.

Qualche parola sul settore assicurativo e sul suo ruolo nell’assicurare una crescita del benessere. Vorrei dire per prima cosa che il ruolo più importante delle assicurazioni nel contribuire allo sviluppo del Paese è la loro capacità di fare bene il proprio mestiere. Sostenere famiglie e imprese nella gestione dei propri rischi è uno dei fattori che meglio può contribuire ad accrescere il benessere della società e la competitività del sistema economico. La diffusione dei servizi assicurativi può consentire di ridurre la vulnerabilità rispetto a eventi che possono colpire la salute, il patrimonio, la capacità di generare reddito. In Italia, forse per un’eredità storica le cui cause non sono facili da valutare, in generale il livello della copertura assicurativa è basso rispetto agli altri paesi europei.

Questa sotto-assicurazione ha assunto una concreta evidenza con l’esperienza della pandemia. Il paese si è trovato a fronteggiare le molteplici conseguenze, dirette e indirette, della crisi; Governo e Parlamento hanno messo in campo misure di sostegno senza precedenti. In certi ambiti una più adeguata diffusione di coperture assicurative a protezione del reddito di famiglie e imprese avrebbe potuto contribuire al ristoro dei danni subiti da ampie fasce di imprese e famiglie. Le relative coperture assicurative, tuttavia, sono proprio tra quelle per cui la diffusione è molto minore in Italia che in altri paesi.

Paradossalmente, l’effetto netto della pandemia sui conti economici delle compagnie assicuratrici in Italia è stato per lo più positivo, a causa della diminuzione dei sinistri del ramo Auto. Come poco diffuse sono le coperture dei rischi nel segmento delle imprese, così, nonostante la frequenza relativamente elevata di terremoti e inondazioni, anche i danni derivanti da catastrofi naturali sono poco assicurati rispetto ad altri paesi dove simili rischi sono elevati.

Scarso rilievo, sempre nel confronto internazionale, hanno le coperture assicurative legate all’invecchiamento della popolazione e alla salute. Sarebbe anche auspicabile una maggiore attenzione e presenza delle compagnie assicurative nel rilascio di garanzie per le fasi di realizzazione delle grandi opere infrastrutturali, un settore particolarmente importante oggi data l’esigenza di far procedere speditamente i progetti del PNRR.

Ritengo quindi auspicabile, in prospettiva, che si accresca il ruolo dell’industria assicurativa nel campo che le è proprio. Nel cogliere opportunità di sviluppo per sé, le compagnie possono contribuire anche al benessere collettivo. Tutto ciò naturalmente nel rispetto della più rigorosa tutela della clientela, e sempre in un regime di piena e trasparente concorrenza che impedisca il formarsi di rendite indebite. In definitiva, credo che per gli operatori del settore assicurativo la via maestra per contribuire al rilancio del Paese sia fare di più e bene il loro core business, assumere e gestire rischi. Per alcuni aspetti tra quelli che ho menzionato, si può riflettere sulla possibilità di trovare sinergie tra l’attività di mercato degli assicuratori e gli interventi e le regole stabilite dallo stato. Aggiungo qualche breve considerazione sul ruolo che il settore ha nella sua qualità di investitore qualificato. Le risorse che il settore intermedia sono ingenti: si tratta di un ammontare dell’ordine dei 10.000 miliardi a livello europeo, il 10% circa dei quali riferibili al mercato assicurativo italiano.

L’allocazione efficiente di questa grande massa intermediata è importante. La regolamentazione prudenziale, e la sua applicazione da parte delle autorità di vigilanza, contribuiscono ad assicurarne una gestione prudente, rispettosa della natura delle assicurazioni come investitore a lungo termine, solido e affidabile. Un aspetto che torna spesso nel dibattito attuale è l’opportunità ‘politica’ di indirizzare queste risorse verso obiettivi meritevoli, come il finanziamento delle imprese, la realizzazione di progetti infrastrutturali, la transizione climatica.

Nel trattare questi temi dal punto di vista della regolamentazione prudenziale occorre distinguere. In primo luogo, è bene che siano rimossi ostacoli immotivati alla diversificazione delle risorse; lo si è fatto per esempio qualche anno fa ampliando, entro limiti prudenti, la quota degli attivi che può essere investita in strumenti illiquidi. In secondo luogo, con particolare riferimento alla transizione ambientale, è opportuno che le assicurazioni prendano nella dovuta considerazione i rischi ambientali nella gestione del proprio portafoglio finanziario. Del modo di farlo si sta discutendo a livello europeo e internazionale, in parallelo all’analoga discussione sulla supervisione bancaria. Su questo punto concrete proposte sono oggi in discussione, specie in ambito europeo.

La transizione ambientale è la grande sfida che il mondo oggi ha di fronte: deve essere trattata con decisione e lungimiranza, con gli strumenti più appropriati (incentivi, regole, investimenti pubblici). Sembra a me invece sconsigliabile 6 7 (ed è questo il mio terzo punto) utilizzare la regolamentazione prudenziale – bancaria o assicurativa – per perseguire obiettivi di incentivazione diretta. Nel campo assicurativo, la regolamentazione prudenziale deve mirare alla coerenza degli investimenti delle compagnie con la natura e la durata degli impegni assunti nei confronti degli assicurati. Essa dovrebbe fondarsi esclusivamente su considerazioni di rischio.

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