Palermo, Mattarella chiude le celebrazioni per ricordare Capaci

Le conclusioni dell’evento al Foro italico a Palermo sono state affidate alle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un lungo applauso lo ha accompagnato sul palco da cui ha parlato per circa 10 minuti nel ricordo della missione (assolutamente compiuta) del Giudice Giovanni Falcone, trucidato dalla mafia trent’anni fa insieme al Magistrato Morvillo e alla loro scorta.

“Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disordine del Paese di fronte all’agguato subito, senza precedenti”, inizia il Capo dello Stato. E a seguire pronuncia i nomi, uno per uno, di tutte le vittime della Strage di Capaci. Quindi la resilienza: “del tutto al contrario di quanto avevamo immaginato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle istituzioni democratiche”. La reazione: “dallo sgomento all’opposizione” sintetizza Mattarella.

Dalle lacrime alla forza, dopo le stragi il risveglio del Paese e del popolo

E con le istituzioni, reagì la società civile. “Si rifiutò – spiega Mattarella – di subire tale umiliazione. Neanche questo la mafia aveva previsto”. Il popolo di Palermo e di tutta Italia infatti trasformò le lacrime in forza, “la più dolorosa delle ricorrenze si fa occasione di crescita e di nuove forme di cittadinanza attiva”, aggiunge il Presidente.

Quindi il ricordo delle vittime. “Onorare oggi la memoria delle vittime – scandisce il Presidente – vuol dire rinnovare il loro impegno,  riproporre il loro coraggio e la loro determinazione: questo impegno non consente pause”. Ricorda il coraggio del Giudice e Magistrato Falcone, quello stesso che gli fece pronunciare parole indimenticate: un coraggio che si fa motore per affrontare le cose riconoscendo prima la paura. “Falcone non si abbandono mai alla rassegnazione o all’indifferenza – ricorda Mattarella – ma si fece guidare dalla visione che la sua Sicilia e l’intero nostro Paese si sarebbero liberati dalla mafia”. E cita Borsellino con cui – prosegue il Presidente – “avviarono un metodo nuovo di indagine fondato su condivisione delle informazioni, sul lavoro di gruppo, sulla specializzazione dei ruoli con risultati giudiziari inediti. Le visioni di avanguardia non furono sempre comprese, anzi in taluni casi vennero osteggiate nella stesa magistratura che col tempo ha potuto poi farne patrimonio comune e valorizzarle”.

Agire prima che la mafia colpisca, non dopo, non in “emergenza”

Sulle misure di azione di lotta alla mafia auspica alla costruzione di nuovi protocolli: il Presidente chiede di non attere l’emergenza, di non agire dopo che i morti si sono stesi in terra. Invita al lavoro comune per attivare tutti gli strumenti idonei alla prevenzione e alla diffusione della legalità prima che la mafia colpisca. “Questa è la consapevolezza che deve guidare l’azione della giustizia per rendere onore ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita”, conclude.

La lezione di Giovanni Falcone: combattere la mafia sul piano culturale

Poco prima di Mattarella c’è stata la chiusura nelle parole di Maria Falcone. Come Mattarella anche Maria Falcone porta l’attenzione sulla volontà civile di rialzarsi dal baratro delle stragi e dei morti per le strade. “Le stragi del 92 sono state un po’ come le torri gemelle americane: un prima e un dopo” sintetizza Falcone. Passa quindi al racconto personale: “In questi anni ho cercato dopo il tanto pianto di quei mesi di portare avanti l’idea di Giovanni: la mafia non si vince soltanto con la repressione quella deve essere sempre forte e degna di uno stato di diritto – ma sul piano culturale. Questo abbiamo fatto. Se oggi abbiamo una città piena di ragazzi che ricordano Giovanni come se fosse un loro contemporaneo e apprezzano i suoi valori credo che in parte abbiamo vinto”. 

 

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