“Sono diabetico. Se non mi inietto insulina mentre gioco, rischio la vita“. Con queste parole il tennista Alexander Zverev, che ha battuto Alcaraz a Torino alle Atp Finals, ha annunciato tempo fa di essere affetto da diabete di tipo 1. Stesso destino per molti altri atleti di fama internazionale.
Oggi l’ostacolo diabete per gli sportivi ad alto livello, e non solo, sembra superato. Un tabù che un tempo impediva di gareggiare ma oggi non è più così, anzi l’attività fisica diventa uno degli strumenti terapeutici. “Esiste un legame vantaggioso tra diabete e attività fisica, in termini di strategia di cura della malattia, soprattutto se associato alla messa a punto di regimi alimentari bilanciati e individualizzati” – spiega all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, docente di dietetica e nutrizione umana all’Università Lum di Bari, in occasione della Giornata mondiale del diabete che si celebra domani.
“La pratica di sport anche agonistici non solo non è sconsigliata a chi soffre di diabete, ma deve essere favorita poiché è in grado di ottimizzare il compenso metabolico in generale – prosegue Minelli – L’esercizio fisico facilita il consumo di glucosio da parte dei muscoli e quindi riduce i livelli di zucchero nel sangue, migliorando la sensibilità all’insulina e permettendo quindi la riduzione del fabbisogno della stessa. In atleti diabetici, che hanno bisogno di assumere insulina dall’esterno, vige solo l’accortezza di calcolarne bene la quantità da immettere in circolo, considerando l’aumento del dispendio energetico, la tipologia di esercizio praticato, ossia se aerobico o anaerobico e il fabbisogno insulinico, in quanto il livello di insulina nel sangue dipende unicamente dall’effetto della quantità somministrata in precedenza”.
“Solo un attento controllo e una correzione personalizzata della dose di insulina e dell’intake energetico permettono all’atleta diabetico di gareggiare con successo e sicurezza per la propria salute, senza rischiare di incorrere in ipoglicemia ritardata. Tutto ciò è attuabile grazie a una stretta collaborazione tra atleta, medico e professionisti della nutrizione“- conclude l’immunologo.
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