Il Def fa sapere di aver rivisto al ribasso le stime sull’impatto macroeconomico del Pnrr: il Pil nel 2026 salirà grazie alle riforme di 3,2 punti percentuali, poco meno dei 3,6 stimati quando venne presentato il piano ad aprile dello scorso anno e il calo è dovuto a posticipi di spesa e ad una “meno rapida dinamica del cronoprogramma di spesa“.
Nel 2021 l’impatto del Pnrr sul Pil era +0,2 punti (-0,4 punti rispetto alla stima del 2021), nel 2022 +0,9 punti (-0,3 rispetto al 2021), nel 2023 +1,5 (-0,4 sul 2021), nel 2024 +2,1 (-0,4) e nel 2025 +2,8 (-0,3).
Le nuove tabelle aggiornate del Def prendono in considerazione anche le singole riforme. Per quanto riguarda le misure fiscali, l’introduzione dell’assegno unico universale e del primo modulo della riforma dell’Irpef “hanno un impatto positivo e crescente sul Pil, pari a 0,5 punti percentuali nel 2025“. Quelle in materia di crisi d’impresa e risanamento aziendale, introdotte nel 2021 insieme all’individuazione di strumenti per identificare le situazioni di insolvenza, è stato quantificato supponendo che l’incidenza percentuale dei crediti deteriorati sui prestiti nel sistema bancario italiano raggiungesse il valore dell’Area Euro.
“La riduzione dello stock di crediti deteriorati ha un effetto positivo sulla crescita economica: alla fine del quarto anno il Pil reale sarebbe superiore di circa 0,2 punti rispetto al valore dello scenario di base“, si legge nel Def. Per la riforma dell’istruzione sono stati considerati gli effetti in termini di riduzione dell’abbandono scolastico, miglioramento del capitale umano e della qualità dell’offerta scolastica e universitaria.