E’, ormai, particolarmente allarmante in Italia il fenomeno di giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi formativi, identificati dall’acronimo NEET – Not in Education, Employment or Training.
A fine 2020, secondo i dati ufficiali resi noti dal Ministero delle Politiche Giovanili, nell’ambito della recente presentazione di un piano di contrasto di questo fenomeno, erano oltre 3 milioni i giovani tra i 15 e i 34 anni a trovarsi in questa deprecabile situazione. Un numero decisamente ragguardevole, pari al 25% del totale di quelle classi generazionali, in definitiva, 1 giovane su 4. Dalle statistiche si apprende, inoltre, che degli oltre 3 milioni di NEET, solo 1 milione circa stava cercando una soluzione lavorativa , mentre gli altri 2/3 si trovavano in una situazione di rassegnata passività.
Scendendo nel dettaglio, la fotografia italiana a livello territoriale mostra un’Italia divisa in due macro aree, con la situazione peggiore localizzata nelle regioni centro meridionali, dove il fenomeno assume dimensioni di assoluta emergenza, soprattutto, in Sicilia, Calabria e Campania.
Passando, poi, a considerazioni di genere, colpisce la prevalenza dell’aliquota di giovani di sesso femminile, 1,7 milioni, con una “quota rosa” di NEET, che si colloca al 45% per la classe tra i 15 e i 19 anni e al 66% per l’altra più matura, tra i 30e i 34 anni.
Il fenomeno dei NEET in Italia non è certo un fatto inedito, o esclusivo del nostro Paese. Rimane, però, il fatto che la sua diffusione si è andata ampliando nel corso di questo secolo – certamente l’impatto della Pandemia da Covid’19 ha costituito nel 2020 un suo fattore di accentuazione-, così come è accresciuto nel tempo il differenziale rispetto agli altri Paesi Europei. Infatti, l’Italia si colloca ben al di sopra della media UE (15%), ponendosi al primo posto in questa particolare classifica di precarietà dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Un ulteriore aspetto negativo è dato dall’alta percentuale di giovani di sesso femminile nella condizione di NEET, risultando riferito al nostro Paese un terzo dei circa 9 milioni complessivi di giovani donne in Europa. Né costituisce motivo di soddisfazione, allargando il campo di osservazione a tutti i Parsi Europei, quindi, anche al di fuori dell’Unione Europea, vedere l’Italia superata in questa triste classifica da altre nazioni, quali la Turchia, il Montenegro e la Macedonia.
Sono cifre, in definitiva, che testimoniano la gravità di questo negativo fenomeno sociale e l’urgenza di porvi riparo. Il Piano di contrasto, cui prima si accennava, potrà essere un buon inizio per avviarlo a soluzione, se, al di là delle risorse stanziate – 4 milioni di euro per la convenzione con l’ANCI, 250mila euro per il sostegno di un programma di sensibilizzazione nelle aree più a rischio-, produrrà un coinvolgimento effettivo delle Istituzioni territoriali locali, Regioni e Comuni, e solleciterà una revisione finalizzata dei percorsi formativi degli Istituti Professionali e di alcuni corsi universitari. Non tralasciando, anche, di provvedere a una seria riqualificazione dell’alternativa scuola – lavoro, che, spesso finora, si è ridotta a mero sfruttamento temporaneo dei giovani, senza offrire loro una concreta prospettiva occupazionale.