“Neruda avvelenato con botulino”, nipote anticipa risultati inchiesta

Una nuova perizia sulle spoglie mortali Pablo Neruda. Avanza l’ipotesi che il grande poeta cileno, morto il 23 agosto 1973 nella clinica Santa María di Santiago del Cile, fu avvelenato dodici giorni dopo il colpo di Stato militare del generale Augusto Pinochet che mise fine all’esperienza del Presidente Salvador Allende. Le analisi effettuate da gruppo di ricercatori internazionale hanno rilevato la presenza di una tossina altamente tossica, il ‘Clostridium botulinum’, che ne avrebbe causato rapidamente la morte.

Neruda assassinato nel 1973 da agenti dello Stato cileno

“Adesso sappiamo che il ‘Clostridium botulinum’ non avrebbe dovuto essere presente nelle ossa di Neruda e quindi è stato assassinato nel 1973 da agenti dello Stato cileno”, ha detto il nipote del Premio Nobel della Letteratura, l’avvocato Rodolfo Reyes, alla stampa cilena, anticipando i risultati ufficiali delle analisi che dovrebbero essere resi noti domani, mercoledì 15 febbraio.

Il batterio del botulino era stato individuato in un molare del poeta per la prima volta nel 2017 da un gruppo di esperti che avevano avanzato l’ipotesi di un avvelenamento e avevano messo in dubbio la versione ufficiale che parla del decesso di Neruda per un tumore metastatico alla prostata. Rodolfo Reyes ritiene pertanto plausibile l’ipotesi più volte ripetuta dal partito comunista cileno secondo cui Neruda fu ucciso “con un’iniezione che lo avrebbe avvelenato”.

“Posso dirlo perché conosco i rapporti. Lo dico io, come avvocato e nipote, con molta responsabilità, perché il giudice non può ancora dirlo, perché deve avere tutte le informazioni”, ha detto Reyes in una conversazione con il quotidiano spagnolo ‘El País”. “Questo è ciò che stavamo aspettando, perché il panel di esperti del 2017 aveva già trovato il ‘Clostridium botulinum’. Ma non si sapeva se fosse endogeno o esogeno. In altre parole, se era interno o esterno. E ora è stato dimostrato che era endogeno e che è stato iniettato o collocato”.

La vicenda della morte per avvelenamento di Pablo Neruda (1904-1973) tiene banco da almeno dieci anni e da allora ripetute indagini medico-legali, con inchieste della magistratura aperte e poi archiviate, non sono riuscite a formulare un verdetto univoco sul decesso. Ora il nipote che non si è mai arreso alla versione ufficiale ha annunciato la svolta.

Dalla testimonianza dell’autista di Neruda le indagini nel 2013

Nel 2013 le prime indagini. Un gruppo di medici legali, in accordo con le autorità giudiziarie cilene, sottoposero la salma del Premio Nobel a una serie di lunghi esami per verificare l’attendibilità della testimonianza del suo autista e guardia del corpo, Manuel Araya, secondo cui il poeta sarebbe stato assassinato per volontà del generale Pinochet nella clinica Santa Maria a Santiago mediante una misteriosa iniezione pochi giorni dopo il colpo di Stato. Il direttore del servizio medico legale cileno, Patricio Bustos, fece così analizzare la salma di Neruda concludendo che il poeta è morto a causa di un tumore alla prostata, il cui decorso sarebbe stato accelerato dallo stress emozionale dei giorni del golpe. Nessuna sostanza velenosa venne allora rintracciata nel corpo, se non tracce di medicinali e antidolorifici assunti per contrastare il cancro, mentre nelle ossa erano presenti molte metastasi.

Il nipote del poeta nel gennaio 2015 ottenne un supplemento di inchiesta e la riapertura dell’indagine, con nuovi esami scientifici sui reperti biologici prelevati dalla salma nella primavera 2013, onde ricercare specifiche sostanze chimiche o metalli pesanti, letali in breve tempo in un organismo debilitato. Nel maggio 2015 un team spagnolo rese noto il ritrovamento di proteine anomale nelle ossa di Neruda, non riferibili a farmaci, alcune legate al cancro e altre a un’infezione improvvisa e assai rapida.

Nel 2015 due Commissioni scientifiche istituite dal Governo cileno

Anche questa indagine fu l’archiviata ma il Governo cileno, di fronte ai persistenti dubbi, istituì due commissioni scientifiche che nel novembre 2015 hanno redatto un documento in cui si legge che è probabile che Neruda non sia morto “a causa del cancro alla prostata di cui soffriva”, e che “risulta chiaramente possibile e altamente probabile l’intervento di terzi”, concludendo che al paziente “fu applicata un’iniezione o gli fu somministrato qualcosa per via orale che ha fatto precipitare la sua prognosi in appena sei ore”.

Nello febbraio 2016 il giudice cileno Mario Carroza, che aveva disposto la riesumazione della salma di Pablo Neruda, decise che non si poteva ulteriormente prolungare la custodia dei resti mortali fino ad allora a disposizione del tribunale, ordinando la loro restituzione alla famiglia. Nell’aprile 2016 i resti mortali di Pablo Neruda furono di nuovo interrati a Isla Negra, sulla costa centrale del Cile, dove si trova la sua casa-museo, accanto alla tomba della moglie Matilde Urrutia. Nel giardino dell’ultima residenza del poeta la salma dell’autore di “Confesso che ho vissuto” era già giunta nel 1992, dopo che in precedenza aveva riposato nel cimitero di Santiago del Cile.

Nel 2017: “non fu un tumore alla prostata la causa della morte”

Nell’autunno del 2017 un pool di esperti ha esaminato nuovamente i resti del poeta cileno e l’esito dei nuovi esami venne annunciato dal professore Aurelio Luna dell’università spagnola di Murcia, che aveva coordinato il lavoro di un team internazionale formato da 16 medici: “Contrariamente a quanto scritto nei certificati ufficiali, non fu un tumore alla prostata la causa della morte di Neruda”. “Non possiamo ancora escludere né affermare la causa naturale o violenta della morte di Pablo Neruda – dichiarò Aurelio Luna durante una conferenza a Santiago del Cile – la conclusione fondamentale però è l’invalidità del certificato di morte”. Nei mesi successivi gli esami rivelarono la presenza del batterio ‘Clostridium botulinum’ trovato in un molare del poeta, poi confermato da altre indagini, che hanno permesso di aprire nuovamente la causa davanti alla magistratura. I risultati delle perizie effettuate dagli esperti internazionali dovrebbero essere resi pubblici domani, mercoledì 15 febbraio, quando il rapporto sarà consegnato al giudice Paola Plaza. Le informazioni fornite dagli esperti non saranno tuttavia vincolanti per la decisione del magistrato.

L’ultimo gruppo di specialisti incaricati della perizia devono determinare se l’origine della sostanza individuata sia endogena o esogena. Questo terzo panel di esperti è composto da scienziati provenienti da Canada, Messico, El Salvador, Danimarca, Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Canada e Cile. Due laboratori, uno in Canada e uno in Danimarca, hanno effettuato i test.

(foto di Pixabay)

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