E’ molto probabile che il 2021 venga catalogato come il miglior anno di sempre per le Società di Gestione del Risparmio – SGR italiane .
Lo testimoniano i dati di consuntivo delle trimestrali, che stanno affluendo in queste settimane con risultati sicuramente più che soddisfacenti; una situazione, inoltre, confermata dalla consueta analisi svolta dal centro studi di Tosetti Value, uno dei principali Multi Family Office in Europa.
C’è però un aspetto che continua ad attenuare la sensazione di soddisfazione per questi positivi risultati e, cioè, il fatto che una quota significativa di questi utili è certamente ascrivibile all’ammontare complessivo delle commissioni percepite dalle SGR, un elemento che si rivela determinante, soprattutto se l’orizzonte di analisi viene allargato ad un contesto europeo.
Al netto delle commissioni di incentivo o di performance, infatti, i ricavi da commissioni ricorrenti si collocano in Italia all’1,46% contro lo 0,96% riferito alle top 30 SGR europee. Una forbice che si era già manifestata negli anni precedenti, in particolare in modo così vistoso lo scorso anno – 1,43% conto lo 0,99% – e che non accenna a restringersi.
Sono sicuramente molteplici le cause di questo fenomeno che, di fatto, penalizza l’efficienza delle SGR italiane in una comparazione internazionale, tra cui sicuramente la limitata varietà di offerta rispetto a quella attivabile dai principali players continentali. Non può, inoltre, dimenticarsi il fattore della modalità di vendita del prodotto che in Italia avviene a mezzo di consulenti che vengono remunerati con la retrocessione di quota parte delle commissioni addebitate alla clientela .
Il livello più elevato delle commissioni incide negativamente, poi, sul rendimento finale del prodotto collocato, così come evidenziato dagli esiti statistici di quest’anno, che segnalano un rendimento del 4,2% per i prodotti italiani contro una media europea dell’8,3%.
Un differenziale di rendimento che va subito precisato, ovviamente, non è causato soltanto dal differente livello commissionale, ma su cui impatta in modo significativo una politica di gestione meno propensa in Italia ad orientarsi verso quei mercati azionari che registrano performance più elevate.