La separazione delle carriere rischia di avere riflessi negativi sul cittadino. Lo sostiene Elena Riva Crugnola, ex presidente della sezione Imprese del Tribunale di Milano ed ex giudice di grande esperienza, tra i firmatari (quasi 500) della lettera con cui giudici e magistrati in pensione chiedono di riflettere su una riforma “anacronistica”. Non un’iniziativa “per interferire con il Parlamento”, né una proposta che raccoglie pm famosi, ma l’idea estemporanea – nata in una chat di ex toghe e a cui hanno aderito tante donne, presidenti di sezioni di Cassazione e civilisti – di “mettere a disposizione l’opinione maturata dalla nostra esperienza e sottolineare come la possibilità di aver svolto funzioni diverse, durante la carriera, sia stata un grande arricchimento professionale” spiega all’Adnkronos.
“Non c’è nessuna volontà di intimidire, ma è una messa a disposizione all’opinione pubblica e agli interlocutori istituzionali di un’altra prospettiva” in vista del 6 settembre quando riprenderà l’iter legislativo sulla separazione delle carriere.
“Siamo pensionati, giudici fuori dai giochi, che intervengono come cittadini a sottolineare che il tema è un falso problema che può introdurre situazioni pericolose e non risolverebbe nessun problema della giustizia. La separazione delle carriere sancirebbe solo una diversità di status tra pubblici ministeri e giudici, ma il pm resterebbe sempre un organo pubblico, quindi questa pretesa non terzietà del giudice rispetto al pm non sarebbe risolta. Il giudice si troverebbe sempre un organo pubblico e un difensore privato e questa famosa soggezione dei giudici ai pubblici ministeri ci sarebbe lo stesso” sottolinea. Soggezione che la statistica non restituisce visto che sono diversi i casi di gip che rigettano le richieste della pubblica accusa o di giudici che assolvono gli imputati.
Una separazione delle carriere è una “battaglia di retroguardia” – rischia di indebolire l’obbligatorietà dell’azione penale – anche tardiva alla luce delle recenti riforme (legge Cartabia) che ha delimitato pesantemente il passaggio di funzioni e distoglie forse da un’evoluzione utile, ossia “una formazione comune per giudici, avvocati penalisti e pm”. Ma soprattutto la separazione delle carriere pone poi il delicato tema del ‘controllo’ sul pubblico ministero.
“Il pm potrebbe trasformarsi in un dipendente del Ministero o in una sorta di avvocato della polizia e questo non darebbe garanzie maggiori, anzi si corre il rischio di addomesticamento dell’azione penale”. Il pubblico ministero fuori dalla giurisdizione “o diventa un organo pubblico incontrollato totalmente, quindi ancora peggio dal punto di vista della garanzia, o sfocia in un controllo da parte del ministro, privo dell’indipendenza garantita dalla Costituzione, o si avvicina alla polizia e non so quanto il cittadino sia maggiormente garantito da avere un pm totalmente assorbito dagli organi di Polizia. Separare le carriere rischia di avere riflessi negativi per le garanzie del cittadino”.
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