Se in linea di principio l’attenzione alla sostenibilità climatica è considerata un cardine ineludibile della politica economica non solo dei principali Paesi industrializzati del mondo, ma anche di molti di quelli emergenti, la sua traduzione in misure concrete è, spesso, contrassegnata da incertezze e perplessità per gli aspetti economici che vengono inevitabilmente messi in discussione. Basti pensare all’indeterminatezza di alcune delle risoluzioni messe a punto nell’ultimo G20 di Roma o al sostanziale fallimento, sancito dalla dichiarazione conclusiva del Cop26 di Glasgow, svoltosi sempre nella parte finale dello scorso anno, per rendersi conto delle difficoltà di percorso verso l’agognato obiettivo della sostenibilità climatica del Pianeta Terra.
Purtroppo, non sembra sfuggire a questa regola anche il cammino della recentissima proposta della Commissione Europea in tema di classificazione delle fonti di energia, in linea con il raggiungimento della neutralità climatica, da qui al 2050, e il cui testo è stato sottoposto, oltreché ai governi nazionali, al Parlamento Europeo e ad una nutrita schiera di qualificati esperti del settore, un gruppo formato da 70 persone.
Infatti, puntualmente, sono arrivate le critiche e le perplessità dal gruppo di esperti per quanto riguarda le soglie dei livelli di accettabilità previste, sia per il gas, sia per il nucleare. Inoltre, tra gli stessi Paesi dell’Ue, a una maggioranza di Stati sostanzialmente favorevoli ad accettare il testo proposto dalla Commissione, sia pure con alcune modifiche (ma non mancano al loro interno le voci di protesta dei movimenti ecologisti e dei loro rappresentanti politici) si contrappone un gruppo di 4 Stati, Austria, Danimarca, Spagna e Lussemburgo, che in un documento ha reso pubblica la propria contrarietà ad annoverare tra le fonti sostenibili il gas e il nucleare.
Per completezza di informazione si ricorda che, dopo la fase consultiva, il testo definitivo di questo provvedimento della Commissione Europea sarà sottoposto all’approvazione, sia del Parlamento con maggioranza semplice, sia del Consiglio, che potrà respingerlo solo a maggioranza rafforzata (pari a oltre il 70% dei Paesi membri).
E, in definitiva, augurabile che gli interessi economici sottostanti alle proposte di modifiche che verranno avanzate dai Governi nazionali non si rivelino così prevalenti da sconvolgere il testo base della Commissione; rischiando di innescare una temibile dilatazione dei tempi per il varo di un provvedimento, che non solo orienterà nei prossimi anni, in un senso o nell’altro, risorse economiche e investimenti cospicui, ma che, comunque, è realmente indispensabile per proseguire seriamente la marcia di avvicinamento all’ effettiva salvaguardia del clima del nostro pianeta.