Tim – Sindacati: “se salta piano industriale a rischio 40mila posti lavoro”

“Se salta il piano industriale di Tim sono anche a rischio 40mila posti di lavoro“. Ad avvertirlo, parlando con l’Adnkronos, è il Segretario Generale  di SOC Cgil, Fabrizio Solari in merito alla situazione di Tim.

Solari argomenta che “se viene meno questa ipotesi, come pare vedendo quello che sta uscendo sui media, è evidente che anche il Piano industriale di Tim non può essere più quello ed è probabilmente per questo motivo anche – continua Solari – che l’Amministratore Delegato oggi è messo in discussione: perché l’AD è l’espressione di quel piano”.

Dal nostro versante è che un’idea di ‘rete arlecchino’, cioè fatta per pezzetti, non solo non è una risposta adeguata al recupero del ritardo italiano e del conseguente digital divide che ci caratterizza ma mette a rischio la stessa tenuta dell’azienda principale del settore. E si apre quindi un problema grosso dal punto di vista dell’occupazione, del sistema economico e anche delle prospettive del Paese” afferma ancora il leader  di Slc Cgil.

L’impressione che ne ricaviamo è che politica rischia di uccidere l’azienda un’altra volta dopo la privatizzazione – afferma Solari che aggiunge – Le decisioni della politica – argomenta Solari – rischiano di uccidere una seconda volta Tim che ai tempi della privatizzazione era tra le primissime aziende di tlc del mondo, internazionalizzata e senza debito“.

Noi abbiamo già scritto al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti la settimana passata dopo il Cda straordinario di Tim e le voci che c’erano. Restiamo in attesa della risposta del Mise ma adesso, con quello che sta emergendo – sottolinea – l’incontro è ancora più urgente“.

Con il ruolo che hanno le telecomunicazioni un problema di governance di Tim è insostenibile per il Paese – rimarca e continua – Per come sono state gestite le privatizzazioni in Europa, oggi – indica Solari – Deutsche Telekom, che è il corrispettivo in Germania della Tim, vale sul mercato circa 60 miliardi di euro e Tim vale circa 6 miliardi. Erano aziende che 30 anni fa erano assolutamente comparabili mentre adesso è questo il divario che le separa”.

Sia in Germania che in Francia, dove il monopolio della rete è in mano a Orange, è stata mantenuta la presenza significativa dello Stato mentre in Italia no. In Italia si è permesso a Bolloré, con capitale francese, di arrivare alla soglia dell’Opa e oggi è l’azionista più importante di Tim con circa il 24% del capitale. Questo per dire – prosegue Solari – che c’era e c’è un problema di governance dell’azienda perché un Paese moderno, con il ruolo che hanno le tlc, non può non avere una sua capacità di incidere in questo settore. Rilevo, infine, che dei primi 4 operatori in Italia – Tim, Wind, Vodafone e Iliad – nessuno è riconducibile al nostro Paese e questa è una situazione anomala”.

“La scelta obbligata per il futuro di Tim – afferma Solari – era all’interno di una scelta di politica industriale che il passato Governo aveva in qualche modo avallato – con lettere di intenti fra Cdp, Tim e Open Fiber nell’agosto del 2020 – e quindi, di lì in avanti, l’azienda si era predisposta ad una soluzione che era stata individuata e che corrispondeva a due parametri principali: quello di rispondere ad un programma del Paese, cioè dotarci di una rete di nuova generazione in grado di soddisfare tutte le esigenze del Paese, e l’altro aspetto era di trovare una sistemazione anche dal punto di vista industriale ai 40mila dipendenti di Tim”.

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