La cena informale di lunedì sera a Bruxelles si è chiusa senza un accordo sul pacchetto di nomi dei leader. Il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel è sceso in sala stampa, a Bruxelles, intorno alla mezzanotte, annunciando che un accordo non era stato raggiunto, infatti. Ha aggiunyo che i leader considerano un “dovere” trovare un’intesa entro la fine del mese.
Antonio Costa per i Socialisti, Kaja Kallas per i Liberali
Manfred Weber, leader del PPe, ha rassicurato su von de Leyen e non solo. “Abbiamo anche trovato un’intesa sui nomi ulteriori: i Socialisti hanno proposto Antonio Costa, i Liberali Kaja Kallas. È un passo importante, perché ora abbiamo chiarezza da parte dei due partiti. È una buona base per ulteriori negoziati nei prossimi giorni. Il punto di partenza è un messaggio di stabilità, che vogliamo trovare un’intesa e che produrremo risultati nell’interesse dei cittadini”.
Per ora, comunque, la posizione di Ursula von der Leyen appare solida: anche il premier croato Andrej Plenkovic ha riferito, nella notte, che il nome dell’attuale presidente durante la cena non ha incontrato obiezioni da parte di “nessuno”.
Meloni insoddisfatta dei nomi sul tavolo
Il silenzio ufficiale da parte dei due Premier dell’Ecr, Giorgia Meloni e Petr Fiala, è stato compensato dall’ungherese Viktor Orban, che ha accusato via social Ppe, Socialisti e Liberali di essersi già accordati per “spartirsi” le cariche apicali, ignorando la volontà popolare.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni “non è soddisfatta” dei nomi sul tavolo. L’Italia è un grande Paese, tra i fondatori dell’Ue, e procedere alle nomine contro Roma non è consigliabile: il Consiglio Europeo, anche se su questo può decidere a maggioranza qualificata, cerca sempre trovare il massimo consenso possibile.
Non tira comunque aria, almeno per ora, di un coinvolgimento dell’Ecr nella maggioranza. Sia Donald Tusk, negoziatore delle cariche per il Ppe, sia Olaf Scholz, che tratta per l’S&D, hanno sottolineato pubblicamente l’autosufficienza numerica della maggioranza uscita dalle urne, magari con l’aiuto di altri partiti. “Non è mio compito convincere Meloni”, ha detto secco Tusk. I Verdi sono disponibili ad entrare, come ripetuto dai vertici del gruppo, ma nel Ppe diverse delegazioni sono contrarissime ad allargare la maggioranza agli ecologisti, a partire dagli italiani e dal presidente e capogruppo Weber. I Socialisti, dal canto loro, non vogliono l’Ecr nel perimetro.
Le perplessità dell’Italia, stando a quello che ha detto Antonio Tajani, che è vicepresidente del Consiglio, ministro degli Esteri e vicepresidente del Ppe, non sembrano riguardare von der Leyen, ma più gli altri due nomi sul tavolo, il portoghese Antonio Costa e l’estone Kaja Kallas. Sul primo, un politico che ha sconfitto la Troika mettendo a posto i conti pubblici seguendo una propria ricetta, ci sono riserve anche all’interno del Ppe: alcuni, ha spiegato Tajani, temono che sia poco “fermo” sull’Ucraina; altre fonti citano il tema migrazioni. E poi l’inchiesta che lo ha coinvolto, anche se la sua posizione sembra essere molto migliorata, proietta comunque qualche perplessità, utilizzabile se non altro in chiave strumentale. Il Premier portoghese, Luis Montenegro del Psd (gruppo Ppe), ha però chiarito che, se la famiglia socialista appoggerà Costa, lui farà di tutto perché riesca a diventare Presidente del Consiglio Europeo.
Spunta il nome di Enrico Letta: in quale caso
Se Costa, che però nel Consiglio Europeo gode dell’appoggio di un big come Pedro Sanchez, dovesse cadere, allora i giochi potrebbero riaprirsi e potrebbe entrare in gioco Enrico Letta, per il quale Tajani ha speso pubblicamente parole di apprezzamento, ricordando che viene dalla tradizione democristiana. Per ora sono solo speculazioni e una fonte parlamentare si dice scettica sulle chances dell’ex Premier italiano. Certo, se per caso questa ipotesi dovesse tradursi in realtà, si arriverebbe al paradosso di un dirigente del Pd che arriva alla guida dell’Euco anche grazie al centrodestra, quando anni fa non ci riuscì a causa dell’opposizione del capo del suo partito, che non voleva farsi presiedere da lui.
L’altro nodo proposto dal Ppe, che ha vinto le elezioni, è che il Presidente del Consiglio Europeo faccia solo “due anni e mezzo” di mandato, per poi passare la mano e non essere rinnovato, come invece è prassi che accada a metà legislatura.
(foto di Pixabay)