Delitto di Cogne

Vent’anni fa il delitto di Cogne. Senza verità non c’è giustizia

Era il 30 gennaio 2002 e in tutti i telegiornali era apparsa la tragica notizia della morte del piccolo Samuele Lorenzi, di soli 3 anni.  L’attenzione mediatica sul caso è esplosa sin da subito e tutta nei confronti della madre: Anna Maria Franzoni.

Nel 2008, ben 6 anni dopo la morte del figlio, la Franzoni è stata condannata per omicidio, scontando una pena di 6 anni in carcere e 5 agli arresti domiciliari.

Cogne – La morte di Samuele 

La mattina di 20 anni fa, alle 8:28, arriva una telefonata al 118 in cui una donna chiedeva aiuto perché il figlio di tre anni stava rigettando sangue nel suo letto. La donna, nel frattempo, aveva chiamato anche la Dottoressa Satragni, medico di famiglia, la quale aveva ipotizzato un aneurisma cerebrale. Una causa – secondo il medico – scatenata “dal pianto disperato del bambino” che era rimasto solo in casa.

Sempre la Dottoressa, ha lavato il bambino per poi spostarlo fuori della villetta. Spostamenti che hanno compromesso sia la situazione della vittima, che la scena del delitto. Ipotesi di cause del decesso smentite poi dall’autopsia. Le ferite riportate dal bambino erano frutto di gesti di violenza: 17 colpi sferrati con un corpo contundente.

Samuele è morto alle 9:55. Dopo un mese, la madre è stata iscritta nel registro degli indagati, ma Anna Maria Franzoni, si è sempre dichiarata innocente.


Anna Maria Franzoni 

Ciò che seguì quel tragico evento fu una lunga serie di testimonianze, processi, dichiarazioni e condanne che hanno trovato sempre una risposta giuridica, ma mai la verità. Tuttora a distanza di 20 anni, la domanda continua a essere sempre la stessa: Anna Maria Franzoni è colpevole o innocente? Domanda che ha sempre trovato il muro della risposta della donna: “Qualcuno lo ha ucciso”.

Dopo aver scontato la sua pena, la madre del piccolo Lorenzo ha, a suo dire, ancora una grande battaglia da portare avanti: far capire agli italiani che non è stata lei a uccidere il figlio. Poiché nessuna madre sarebbe in grado di compiere quello scellerato gesto.

Una madre che compie questo gesto non ha bisogno di dimostrare alla gente che è innocente. Dovrebbe avere il coraggio di guardarsi allo specchio e anziché cercare un colpevole fuori, dovrebbe chiedersi: Ho ucciso io mio figlio? Un quesito che non trova risposta se non dentro sé stessa o dentro quella donna che è stata nel momento esatto in cui il delitto è stato compiuto.

Una giustizia a metà per il piccolo Samuele che, oltre a non avere il colpevole, non ha avuto neanche la madre che meritava.

 

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