È tornato libero “U Scannacristiani”, reo confesso della Strage di Capaci e di 150 delitti

Con l’abbuono di 45 giorni per buona condotta, è uscito dal Carcere di Rebibbia, dopo aver scontato 25 anni di reclusione, Giovanni Brusca, braccio destro del boss dei boss di “Cosa nostra” Totò Rina.

Con il fine pena, previsto dalla legge, si è scelta la formula d’uso che chiude i suoi tanti conti aperti con la Giustizia. Accade così che lo Stato garantista chiuda gli occhi e si tappi il naso e a soli 64 anni viene rimesso in libertà l’uomo che ha premuto il telecomando per l’attentato dinamitardo di Capaci in cui morì Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta.

Viene messo in libertà l’uomo che fece sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, responsabile di essere stato il figlio di Santino Di Matteo,  un pentito, collaboratore di giustizia che aveva iniziato a svelare nomi eccellenti e crimini della mafia  al Procuratore anti-mafia Gian Carlo Caselli.

“Dura lex, sed lex” e “La legge è uguale per tutti” c’è scritto in tutti i tribunali alle spalle dei giudici. Lo Stato non può che osservare  la legge e quindi apre le porte del carcere e rende libero, seppure in libertà vigilata per i prossimi quattro anni, a colui che per la sua ferocia era chiamato lo “scannacristiani”,  l’uomo che oltre ai suddetti reati ha confessato di aver commesso oltre un centinaio di omicidi.

Non era stato ritenuto colpevole a tal punto da meritare la pena dell’ergastolo, ma anche se la sua condanna era pertanto connotata da un esito annunciato, la sua scarcerazione ha suscitato, comunque, le reazioni più critiche.

Nel suo caso sono stati semplicemente applicati i benefici previsti per i collaboratori di giustizia definiti  “affidabili”. Se ne era già tenuto conto nel calcolo delle condanne che complessivamente arrivano a 26 anni. Siccome il boss di San Giuseppe Jato era stato arrestato nel 1996 nel suo covo in provincia di Agrigento, sarebbe stato scarcerato nel 2022. Ma la pena si è ancora accorciata per la “buona condotta” dopo che a Brusca erano stati concessi alcuni giorni premio di libertà. Gli ultimi calcoli prevedevano la scarcerazione a ottobre, ma il premio è arrivato anche prima.

Ora però si apre un caso complicato di gestione della libertà del boss e dei suoi familiari. I servizi di vigilanza, ma anche di protezione previsti dalla legge, dovranno tenere conto dell’enormità dei delitti e delle stragi che lo stesso Brusca ha confessato, perché non solo ha ammesso di avere coordinato i preparativi della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta. Ha confessato numerosi delitti nella zona di San Giuseppe Jato.

Brusca non nascondeva il tormento di ripassare in rassegna i suoi crimini più odiosi e quelli di cui era a conoscenza. La sua collaborazione, certamente  è stata determinante per il prosieguo di molte indagini e dalle sue rivelazioni presero subito l’avvio numerosi procedimenti che hanno incrociato pure i percorsi dell’inchiesta sulla “trattativa” tra Stato e mafia.

Ma questi meriti barattati con la Giustizia e quindi con lo Stato sono sufficienti a fare di lui oggi un uomo libero? Sono sufficienti ad espiare una pena che affonda il coltello nel dolore dei parenti delle sue vittime? Sono sufficienti a essere certi che a 64 anni l’ex boss non torni a delinquere meglio e più di prima? Questa ultima domanda se l’è posta Maria Falcone, sorella del giudice Giovanni Falcone. “La stessa magistratura – ha spiegato Maria Falcone – in più occasioni ha espresso dubbi sulla completezza delle sue rivelazioni, soprattutto quelle relative al patrimonio che, probabilmente, non è stato tutto confiscato: non è più il tempo di mezze verità e sarebbe un insulto a Giovanni, Francesca, Vito, Antonio e Rocco che un uomo che si è macchiato di crimini orribili torni libero a godere di ricchezze sporche di sangue”.

“Brusca libero? Non voglio crederci. È una vergogna inaccettabile, un’ingiustizia per tutto il Paese. Sempre dalla parte delle vittime e di chi lotta e ha lottato contro la mafia”. Lo scrive su Twitter la Sindaca di Roma Virginia Raggi.

Il boss di Cosa Nostra Giovanni Bruscalo “scannacristiani” che ha commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti, ha fatto saltare in aria il giudice Falcone e la sua scorta e ha ordinato di strangolare e sciogliere nell’acido il piccolo Di Matteo – è tornato libero. È una notizia che lascia senza fiato e fa venire i brividi!”. Così la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.

La scarcerazione del “pentito” Giovanni Brusca è un atto tecnicamente inevitabile ma moralmente impossibile da accettare. Mai piú sconti di pena ai mafiosi, mai più indulgenza per chi si è macchiato di sangue innocente. Sono vicina ai parenti delle vittime, oggi è un giorno triste per tutti”. Lo scrive su Twitter Mara Carfagna, Ministro  per il Sud e la Coesione territoriale.

Brusca ha cercato dopo la condanna di ottenere gli arresti domiciliari per ben nove volte e gli sono stati sempre negati con la seguente motivazione scritta testualmente dal Tribunale di Sorveglianza: “non si ravvisa in Brusca ‘un mutamento profondo e sensibile della personalità tale da indurre un diverso modo di sentire e agire in armonia con i principi accolti dal consorzio civile’”.


Forse è corretto prendere atto ed essere certi del reale pentimento di un criminale perché tutti nella vita possiamo ricrederci delle scelte fatte e forse è corretto che a fronte del ravvedimento la detenzione possa essere attenuta se sostenuta dalla buona condotta. Ma, certamente, la gravità, la crudeltà con cui il condannato ha reiteratamente compiuto i delitti non dovrebbe escludere la massima pena prevista dalle leggi dello Stato, ovvero l’ergastolo a vita che, tuttavia, stanno scontando nelle nostre carceri, altri condannati per aver commesso reati quantitativamente e qualitativamente molto meno gravi.

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