Le opere di due manieristi toscani, la monumentale Deposizione di Cristo di Rosso Fiorentino (1521) e l’altrettanto imponente pala, di analogo soggetto, del Pontormo (1526-1528), rese come tableaux vivants ne La ricotta (1963), con Orson Welles nei panni di un regista impegnato a girare un film sulla Passione di Gesù.
Il Cristo morto (1485) di Andrea Mantegna, rievocato nella drammatica scena finale di Mamma Roma (1962), in cui il giovane protagonista legato nel letto dell’infermeria di un carcere romano muore invocando la madre. E poi i riferimenti pittorici continui ne Il Vangelo secondo Matteo (1964) e Teorema (1968) – da Piero della Francesca a Francis Bacon -, ne Il Decameron (1971), da Giotto e Velázquez, fino all’ultimo, doloroso, profetico e scandaloso film Salò o Le 120 giornate di Sodoma (1975).
Forse perché pittore lo è stato anch’egli per tutta la vita, è indubbio che sia stata anche la grande arte ad animare la concezione estetica di tutti i lavori cinematografici di Pier Paolo Pasolini, un aspetto che viene approfondito dalla mostra-focus “Fotogrammi di pittura“, in programma a Mamiano di Traversetolo (Parma) negli spazi della Fondazione Magnani-Rocca dall’11 settembre al 12 dicembre. Pensata come primo “assaggio” delle celebrazioni organizzate per il centenario della nascita del poeta-regista (avvenuta a Bologna il 5 marzo 1922), l’esposizione a cura di Stefano Roffi e Mauro Carrera si compone di costumi realizzati per i film, prestati dallo CSAC di Parma, e indossati da celebri attrici, come Silvana Mangano, locandine originali dei film, rare fotografie d’epoca e la galleria fotografica delle opere d’arte che Pasolini ebbe come riferimento, in accostamento alle scene tratte dai suoi lavori cinematografici.