Nelle prime ore di oggi, la Polizia di Stato di Taranto, nell’ambito di un’indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 36 soggetti (di cui 27 in carcere e 9 agli arresti domiciliari) presunti responsabili a vario titolo di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e di altri gravissimi reati tra cui estorsione, detenzione e porto illegale di armi e munizioni, lesioni personali, ed altro. Sono anche indagate in stato di libertà altre 20 persone.
Le indagini hanno permesso di accertare come un noto clan – già destinatario del “sigillo della mafiosità” duramente colpito dalla sentenza di condanna passata in giudicato nell’operazione “Città Nostra” – abbia continuato ad operare sotto la guida del capo storico e, in posizione lievemente subordinata, del fratello.
Le indagini hanno avuto inizio da un episodio avvenuto il 31 ottobre 2018 a Taranto nel quale due pregiudicati (indagati dei reati in concorso di lesioni personali pluriaggravate, detenzione e porto di armi comuni da sparo e esplosione di colpi di arma da fuoco in luogo pubblico) a bordo di uno scooter, spararono colpi di arma da fuoco agli arti inferiori di un giovane colpevole di aver richiesto l’amicizia su Facebook alla compagna di uno dei due.
Gli investigatori hanno raccolto elementi idonei a sostenere come la moglie del capoclan storico fosse diventata la “reggente” in libertà di tutte le attività illecite del sodalizio secondo le precise disposizioni del coniuge detenuto, oltre a svolgere, insieme alla cognata, la funzione di “supervisore” delle attività del clan per ciò che attiene il settore delle estorsioni.
In particolare, le donne avrebbero avuto il compito di recapitare all’esterno del carcere messaggi contenenti ordini e direttive degli esponenti apicali, detenuti, dell’organizzazione criminale e di procedere alla riscossione del denaro di provenienza delle attività estorsive.
Il provvedimento giudiziario ha evidenziato che i due fratelli avrebbero proseguito l’azione criminale del sodalizio di stampo mafioso, conservando e rafforzando l’egemonia dell’associazione mafiosa sul territorio nei confronti sia dei suoi aderenti sia della società civile, prona ad un assoluto controllo, oltre che rispetto ad altri gruppi criminali “nemici” verso i cui sodali rivolgevano violente rappresaglie.
Significativo l’episodio in cui il fratello minore, all’interno del carcere di Foggia, ha violentemente aggredito il rappresentante di un clan rivale, costringendolo a scrivere una lettera in cui rappresentava la volontà di dissociarsi dal gruppo criminale di appartenenza.
Tra le fonti di reddito, il racket delle estorsioni ed il traffico di sostanze stupefacenti avevano carattere di sistematicità.
Dalle indagini svolte e dalle risultanze delle attività tecniche, sarebbe emerso come, anche durante il periodo di detenzione dei due fratelli, il clanabbia posto in essere l’attività illecita del traffico di sostanze stupefacenti, approvvigionandosi dal territorio napoletano e da altri clan affiliati alla camorra. In ogni caso, i sodali, pur svolgendo in autonomia e in forma associativa l’attività delittuosa, riconoscevano ai vertici del clan una quota dei loro introiti, una vera e propria “royalty” che assicurava loro di poter spendere il “buon nome” dei fratelli ed usufruire di canali di approvvigionamento di stupefacenti vicini agli stessi.
Rilevante anche il profilo delle estorsioni ambientali, settore in cui i due fratelli e le donne avrebbero agito con la minaccia consistita nell’evocare, anche tacitamente, l’esistenza e l’appartenenza al clan per ottenere una dazione settimanale di somme di denaro, non complessivamente quantificabili, quali “pensiero” per il sostentamento delle famiglie dei membri del clan, pretendendo ed ottenendo somme a loro non dovute.
Tra le vittime vi erano soprattutto titolari di esercizi commerciali per la vendita di automobili, bar, pizzerie, ortofrutta, imprenditori nel settore delle bevande, nel settore dei mitili, titolari di imprese di pulizie, gestori di piazze di spaccio.
Oltre alle sostanze stupefacenti e le armi, sono state sequestrate anche numerose lettere. In particolare, corrispondenza trasmessa al maggiore dei due fratelli da soggetti appartenenti al sodalizio criminale, corrispondenza dal padre e dai fratelli e, infine, corrispondenza da appartenenti ad altri sodalizi. Nelle stesse, si esprime la vicinanza e la devozione al capo nonché si dà conto anche dell’attività estorsiva nelle quali spendono il suo nome ed il suo prestigio.
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