Turetta parla 9 ore ai PM. Nel racconto “non ricordo” e incongruenze

Turetta parla con i PM per 9 ore tra pause lunghe, silenzi, lacrime e lo sguardo spento ma anche risposte articolate,  alcune incongruenze nel racconto e diversi “non ricordo“.

A un certo punto quel “mi è scattato qualcosa in testa” per spiegare l’orrore.

Poi la sua verità, il perché  della vita tolta all’ex fidanzata Giulia Cecchettin accoltellata a morte. La giovane cercava di difendersi con le mani per fermare i colpi inferti.

Oggi Turretta ha trovato di fronte a sé il Pm di Venezia Andrea Petroni che coordina l’inchiesta dei Carabinieri e che gli ha contestato tutte le prove raccolte, tra cui i due coltelli trovati e quel nastro adesivo, comprato on line qualche giorno prima dell’11 novembre e che avrebbe usato per chiudere la bocca e legare le mani alla ragazza che da almeno un mese era vittima anche delle sue pressioni psicologiche e dei suoi ricatti.

Quella sera di sabato lei ha accettato di andare a cena in un centro commerciale a Marghera. Lui insisteva ancora per recuperare il rapporto, lei era decisa nella sua scelta. La prima aggressione nel parcheggio a Vigonovo, a meno di 200 metri da casa di lei, al ritorno.

“Ho perso la testa, mi è scattato qualcosa”, avrebbe ripetuto Turetta in carcere.

Nel parcheggio di via Aldo Moro i calci quando Giulia è già fuori dall’auto del 21enne, lei che cerca di reagire e un vicino di casa che vede parte della scena, dà l’allarme che resta inascoltato.
Turetta, intanto, l’ha già portata, chiusa dentro la Fiat Grande Punto nera, nella zona industriale di Fossò, deserta il sabato sera. Una telecamera di sorveglianza riprende le fasi finali della seconda aggressione. Non le coltellate, tante, oltre venti. Le immagini mostrano Giulia, spinta e colpita da dietro mentre tenta di fuggire di corsa, già fuori dalla macchina. Sbatte la testa su un marciapiede e resta a terra e lui la carica sull’auto. Poi, la fuga.

Il corpo di Giulia, già morta dissanguata, l’ex fidanzato lo abbandonerà ad oltre 100 chilometri di distanza, vicino al lago di Barcis, con dei sacchi di plastica neri a coprire il cadavere. Sacchi che aveva già con sé quella sera. Nel pomeriggio avrebbe fatto pure un sopralluogo a Fossò.

Nell’interrogatorio fiume Turetta ha dovuto ricostruire passo passo tutto ciò che è avvenuto quella sera, ma anche nei giorni precedenti e nella settimana di fuga fino in Germania, dopo che nelle poche dichiarazioni alla giudice Benedetta Vitolo si era detto “affranto, dispiaciuto”, pronto a “pagare” per le sue responsabilità e a “ricostruire” nella sua “memoria” quello che gli era “scattato” nella testa quella sera.


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