Militari USA uccisi in Giordania, gli scenari per Biden


“Non non vogliamo un’altra guerra, non vogliamo l’escalation, ma faremo assolutamente quello che è necessario per proteggerci, continuare la missione e rispondere in modo appropriato a questi attacchi”, così, riferendosi anche ai 160 attacchi contro strutture USA in Siria registrati dallo scorso ottobre, il Portavoce del consiglio di Sicurezza della Casa Bianca, John Kirby, ha sintetizzato la difficile posizione in cui si trova Biden. E lo stesso Presidente nelle ultime ore ha ribadito che gli Stati Uniti non hanno bisogno di questo allargamento.

Con l’uccisione dei tre militari “è stata sicuramente superata la linea rossa delineata dal presidente”, sottolinea alla Cnn il generale a riposo Mark Hertling, spiegando che ci si attende quindi una risposta più robusta da parte di Washington, che potrebbe non limitarsi ad un solo Paese o ad un solo attacco. Anche se, riferisce ancora l’emittente USA, alcune fonti ritengono che sia improbabile che Biden ordini di attaccare all’interno del territorio iraniano.

L’amministrazione Biden potrebbe decidere di nuovo attaccare i gruppi militari in Iraq e Siria, o in entrambi i Paese, prendendo le milizie regionali. Con fonti che spiegano alla Cnn che Washington è molto attenta a non indicare con precisione da dove e quale milizia abbia lanciato il drone di domenica per mantenere l’effetto sorpresa della risposta, limitandosi a dire che si tratta di un gruppo che ha il sostegno dei filoiraniani Kata’ib Hezbollah. “Non escludiamo nulla dal tavolo”, affermano dal Pentagono.

Un’azione del genere, però, forse non sarebbe sufficiente per i repubblicani del Congresso che chiedono, a gran voce, che venga colpito per rappresaglia direttamente l’Iran e non i gruppi filoiraniani. E ricordano, in opposizione alla debolezza del presidente democratico, come Trump ordinò il raid a Baghdad con cui fu assassinato il generale iraniano Qasem Soleimani, comandante della Forza Quds.

“Posso dirvi che all’Iran non importa se facciamo un occhio nero ai gruppi filoiraniani, ma importa se facciamo un occhio nero a loro”, ha dichiarato Don Bacon, membro repubblicano della commissione Difesa della Camera, generale a riposo che ha servito in Iraq, che ha liquidato come “stupidaggini, le parole di Kirby e altri riguardo a non volere l’escalation, ci preoccupano sempre dell’escalation, che è già avvenuta”.

Bacon, comunque, come la maggioranza dei repubblicani, non si spinge fino a chiedere di colpire obiettivi all’interno dell’Iran, ma suggerisce l’idea di colpire sue infrastrutture petrolifere nella regione o la sua marina: “È un modo per attirare la sua attenzione senza esporre le nostre forze a rischi non necessari”, ha aggiunto il deputato. Anche Michael McCaul, presidente della commissione Esteri della Camera, afferma che gli USA possono facilmente colpire obiettivi dei Guardiani della Rivoluzione islamica, e non dei suoi proxies, in Iraq, Siria e Yemen. “Colpire l’Iran ora, colpire duramente”, è il lapidario commento del senatore Lindsey Graham, grande alleato di Trump.

Dal fronte interno, quello democratico, Biden però si trova a subire pressioni in senso opposto, con appelli alla cautela ed alla prudenza, anche da un ex Marine, che ha servito in Iraq, come il deputato Seth Moulton: “Ai polli-falchi che invocano la guerra con l’Iran, dico che state facendo il gioco del nemico – ha detto il dem rivolto ai repubblicani – vorrei vedervi mandare i vostri figli e figlie a combattere. Dobbiamo avere una risposta strategica ed effettiva, nei nostri termini e tempi. La deterrenza è difficile, la guerra è peggio”.

Il fatto è che dall’inizio della guerra a Gaza, Biden deve fare i conti con la sinistra democratica sempre più insofferente del sostegno incondizionato di Washington ad Israele, con una pressante richiesta di cessate il fuoco e l’opposizione ad un allargamento del conflitto. Posizioni condivise da gruppi di elettori – gli esponenti della comunità araba americana, e, soprattutto, i giovani – che saranno cruciali per la rielezione a novembre.

“È veramente un difficile equilibrio da cercare”, perché se non rispondi o non rispondi in maniera sufficientemente dure, si vede solo la continuazione di quello che è stato – commenta con il Washington Post la posizione in cui trova Biden, Brian Katulis, vice presidente del Middle East Institute, notando che “ci sono stati così tanti attacchi contro le truppe Usa che mi sorprende che non ci siano stati più morti”.

Il nodo dell’autorizzazione al Congresso per i raid

Infine c’è la questione, non irrilevante, dell’autorizzazione che secondo alcuni Biden dovrebbe chiedere al Congresso per i raid, in particolare quelli che continua a condurre nel Mar Rosso contro i ribelli Houthi. Un gruppo di deputati bipartisan hanno inviato una lettera in questo senso al presidente, ed un’altra, firmata da quattro senatori, due per ogni partito, chiede alla Casa Bianca di illustrare le ragioni strategiche e legali dei raid. Secondo Kirby, il presidente ha però la necessaria autorità, sulla base dell’articolo II della Costituzione per la difesa delle truppe, di rispondere all’attacco di domenica senza chiedere l’approvazione del Congresso.

Parlando oggi con i giornalisti prima di lasciare la Casa Bianca, Joe Biden afferma intanto di aver deciso come rispondere all’attacco. Il presidente non ha fornito ulteriori specificazioni, sottolineando però che gli Stati Uniti non hanno bisogno di un allargamento del conflitto in Medio Oriente.

(Screenshot Sky)

 

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