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Biennale Arte Venezia 2024: quando l’idea non rappresenta la realtà

Il leitmotiv di questa Biennale Arte di Venezia 2024, a cura di Adriano Pedrosa, è quello di “Stranieri ovunque“. Un titolo sicuramente accattivante che ovviamente cozza con quello che in questi mesi sta succedendo nel nostro Paese soprattutto per mano di questo Governo non aperto allo “straniero“. E visto che La Biennale ha sede in Italia la prima cosa che si può pensare è che come sempre l’arte riesce ad andare oltre.

Peccato però che l’idea non rappresenta del tutto la realtà di questa esibizione. La prima cosa che si presenta è la mancanza di un filo conduttore che unisca la mostra. Una quadreria posizionata senza se e senza ma. Il classico compitino che svolgi senza voglia e senza necessariamente arrivare all’insuficienza. “Stranieri ovunque” dovrebbe unire sia spiritualmente che emotivamente ma nessuna di queste sensazioni sono presenti.

Biennale Arte padiglione centrale_ph isaco praxolu

Non guarda al futuro ma rimane bloccato nel passato, un passato che dovrebbe cercare di collegare differenti correnti occidentali a quelle “indigene“. Un padiglione centrale che vorrebbe contrastare il razzismo ma che sembra accentuarlo invece dall’altra parte.  Quello che manca è il dialogo tra il sistema dell’arte occidentale e la miriade di artisti “outsider” presenti in mostra. E se manca il dialogo e la comparazione ecco che qualcosa non va. Il Presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco, spiegando il “claim” della 60esima edizione, ha dichiarato: “Foreigners Everywhere, Stranieri Ovunque è un inno alla pluralità, un inno ad andare oltre. Venezia è sempre stata la casa di tutti” ma per chi era li posso garantire tutta questa pluralità non era presente.

I temi della diversità e dell’estraneità sono affrontati in maniera trasversale ma di certo non avanguardistica; è come se per questa mostra si sia pensato: “chi sono quelli messi peggio oggi nel mondo? chi non ha avuto voce in tutti questi anni? ecco prendiamoli e mettiamoli tutti insieme così appariamo brave persone“. Ma peccato che, come detto, si sia passato da un estremo all’altro.  Possiamo definire questo padiglione centrale come un mercatino di cose ritrovate in cantina e messe li a caso.

Per quanto riguarda i padiglioni esteri anche quest’anno quello americano ha fatto un buon lavoro; il padiglione polacco molto toccante e il padiglione vincitore del Leone d’Oro, quello australiano, profondo a tratti inquietante ma con un messaggio ben chiaro e diretto. Consigliato anche il padiglione tedesco e quello canadese. Mensione speciale al padiglione maltese che anche quest’anno è riuscito a conquistare tutti.

Biennale Arte padiglione USA_ph isaco praxolu

Il Leone d’Oro, assegnato dalla giuria internazionale formata da Julia Bryan-Wilson (Presidente), curatrice americana e professoressa alla Columbia University; Alia Swastika, curatrice e scrittrice indonesiana; Chika Okeke-Agulu, curatore e critico d’arte nigeriano; Elena Crippa, curatrice italiana; María Inés Rodríguez, curatrice franco-colombiana, è andato all’opera del collettivo femminile māori Mataaho Collective.

Forse davvero l’unica vera bella opera in mostra.

 

 

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