Il burnout è una malattia e riguarda il 20% dei lavoratori nel mondo

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha riconosciuto il burnout come una condizione medica associata a stress cronico sul lavoro non adeguatamente gestito. Il burn out viene inserito nella classificazione internazionale delle malattie.

Questa patologia ha dati shock. A livello globale, la percentuale di dipendenti che sperimenta sintomi di burnout si attesta intorno al 20%. Colpisce dipendenti di aziende più piccole, che non ricoprono posizioni manageriali e i lavoratori più giovani. E c’è di più: l’80% di dipendenti appartenenti a Gen Z (dal 1995-2010) e Millennial (tra il 1980 e il 1996) sarebbe pronto a lasciare il lavoro, a causa di una cultura aziendale tossica.

I dati, Paese per Paese

Secondo un recente sondaggio condotto dal McKinsey Health Institute su 30.000 dipendenti in 30 paesi emerge che: i tassi più alti di burn out sono in India (59%), i più bassi in Camerun (9%). L’Italia si colloca nella parte bassa della classifica, riportando solo il 16% dei sintomi di burnout, nonostante la percentuale di esaurimento delle forze e conseguente stanchezza fisica e mentale sia alta (43%).

In alternativa al burn out, le dimissioni. “Moltissime aziende negli ultimi anni ci hanno segnalato una maggiore difficoltà a trattenere le risorse, c’è stato infatti un significativo aumento delle dimissioni in tanti settori diversi, che ha portato il tema della retention al centro del dibattito di hr e dirigenti: in quest’ottica mettersi in ascolto delle proprie persone e quindi monitorare costantemente il clima aziendale diventa fondamentale”, ha commentato Francesca Verderio, training & development practice leader di Zeta Service, azienda italiana specializzata nei servizi hr e payroll.

Le frequenti dimissioni dei giovani rappresentano per il 60% dei talent manager uno dei più grandi ostacoli per l’introduzione di nuove skill e la crescita dell’impresa. Più in generale, come evidenziato da Cnbc, il calo della soddisfazione lavorativa registrato dal 2020 ad oggi potrebbe impattare sull’economia globale con una perdita di circa 8,8 trilioni di dollari in termini di produttività.

Attenzione al clima aziendale

In questo scenario, il sondaggio del McKinsey Health Institute ha evidenziato che un ambiente di lavoro positivo consente ai dipendenti di sperimentare un benessere maggiore e di essere più innovativi e performanti nello svolgimento delle proprie mansioni. Tutto ciò trova conferma in un’altra indagine che l’Istituto ha condotto insieme a Business in the Community, secondo cui il valore economico del miglioramento del benessere dei dipendenti del Regno Unito, ad esempio, potrebbe oscillare tra 130 e 370 miliardi di sterline all’anno (6-17% del Pil), il che equivale a 4.000-12.000 sterline per dipendente.

“Questi dati sottolineano la necessità, per le imprese, di monitorare costantemente il clima aziendale”, spiega Verderio. “Conoscere le esigenze e le opinioni dei dipendenti è fondamentale per migliorare tutti gli aspetti della vita lavorativa. Facilmente si scivola nel pensare che l’intenzione di abbandono del posto di lavoro sia legata a tematiche retributive o di carriera o dal competitor che corteggia i propri dipendenti con offerte ‘irrinunciabili’, quando in realtà si tratta di problematiche meno evidenti, rilevabili attraverso strumenti di ascolto più profondi”.

“Tra questi, l’analisi di clima è particolarmente immediato ed efficace, permettendoci di capire che cosa pensano le persone dell’azienda rispetto al luogo di lavoro e quindi, per esempio, il senso di appartenenza, il committment, quanto l’azienda si prenda cura delle proprie persone in termini di benessere psicologico e salute, il supporto offerto dal proprio team, l’equità o l’eticità dei comportamenti manageriali, piuttosto che le possibilità di formazione o di percorsi di carriera”, spiega ancora.

Un clima aziendale positivo è infatti correlato a fattori come il maggiore coinvolgimento nel lavoro e la migliore collaborazione tra dipendenti e quindi migliori performance, la crescita del senso di appartenenza all’organizzazione, oltre che ad una maggiore attrattività dei talenti e di soddisfazione del cliente.

“L’analisi del clima aziendale dev’essere concepita come una sorta di monitoraggio costante e non solo come uno strumento da adottare nei momenti di difficoltà o crescita dell’organizzazione”, spiega ancora Verderio. “Inoltre è fondamentale affidarsi ad una società esterna terza in quanto questa può garantire una lettura ragionata, equa e imparziale delle risposte: con Eleva People Value, sviluppato da Zeta Service Eleva in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia de La Sapienza Università di Roma, la rilevazione viene realizzata sempre in presenza di uno psicologo, il che garantisce l’uso etico dello strumento, aiutando i dipendenti a sentirsi protetti nell’esprimere i propri pensieri. Ugualmente, è altrettanto importante comunicare loro i risultati emersi nel modo corretto, sottolineando come questi siano un concreto punto di partenza per il miglioramento dell’impresa e della sua competitività sul mercato”, conclude.

(foto di Pixabay)

Condividi
Per informazioni scrivere a: info@tfnews.it