Un’inchiesta della Dda di Palermo sui capimafia e boss della Stidda ha portato a 22 fermi. L’indagine colpisce le famiglie mafiose di Agrigento e Trapani.
Anche un avvocato di Canicattì è coinvolto, perché nel suo studio i capimafia si sono riuniti per due anni.
Coinvolto in particolare uno dei capimafia indicato come il mandante dell’omicidio del giudice Rosario Livatino.
I capimafia hanno rivitalizzato la Stidda
La Stidda quindi era riuscita a riorganizzarsi intorno alle figure di due ergastolani riusciti ad ottenere la semilibertà. Pare, che il mandante, dell’omicidio Livatino, avrebbe sfruttato i premi, che a volte spettano ai condannati in carcere a vita, per rivitalizzare la Stidda che sembrava ormai sconfitta.
Antonio Gallea, è stato messo in semilibertà, dopo aver scontato 25 anni di galera, per l’omicidio del giovane Livatino, trucidato il 21 settembre 1990 e da poco proclamato Beato da Papa Francesco, perché ha mostrato la volontà di collaborare con la giustizia.
Anche l’altro capomafia, scontata una pena di 26 anni e in semilibertà, autorizzato dal Tribunale a lavorare fuori dal carcere, ha mostrato la volontà di aiutare gli investigatori.
Una “collaborazione” che la giurisprudenza definisce “impossibile”, dal momento che non hanno detto nulla di nuovo rispetto a quello che già sapevano i Magistrati e quindi non apportando nessun aiuto alle indagini.
Cosa Nostra
Da questo è emerso che gli Stiddari stanno facendo concorrenza a Cosa Nostra, con la quale, ricordiamo, già negli anni ’80 c’è stato uno scontro con decine di morti. Ma in questo caso non è stato uno scontro ma un “incontro” tra le due organizzazioni che si sarebbero spartite gli affari. Ad esempio nel settore ortofrutticolo.
Le riunioni dei malavitosi avveniva nello studio di Angela Porcello, compagna di un imprenditore già condannato per associazione mafiosa. Anche lei è finita in cella nel blitz dei carabinieri. Il suo studio era stato scelto come base logistica dei clan perché la legge limita le attività investigative negli uffici degli avvocati.
Una volta scoperto il luogo di incontro, gli inquirenti hanno anche scoperto, che l’avvocatessa risultava essere un vero e proprio vertice di Cosa Nostra. Colei che organizzava gli incontri e che svolgeva il ruolo di consigliere, suggeritrice e ispiratrice.
Le centinaia di ore di intercettazioni hanno consentito di far luce sui clan, sulle dinamiche interne alle cosche e di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni.
Uno spaccato prezioso che ha permesso di identificare personaggi ignoti agli inquirenti e boss antichi ancora operativi.