Il dottor Antonio Boschini, Responsabile Sanitario Terapeutico di San Patrignano spiega ad Adnkronos come il Covid è stato vissuto nella comunità di recupero più grande d’Europa.
A San Patrignano, infatti, non ci sono stati positivi al virus in tutta la prima ondata. I primi casi si sono registrati alla fine del 2020. “A ottobre scorso è entrato il virus a San Patrignano, avendo 250 dipendenti che vivono all’esterno era prevedibile – spiega Boschini – . Abbiamo avuto una epidemia di Covid che ha colpito 450 ragazzi nell’arco di due mesi, ma nessuno di loro ha avuto bisogno di ossigeno. Tutti con forme lievi“. E commenta Boschini, anche lui ex ospite della comunità: “È un fenomeno curioso, vero è che ho passato i dati all’istituto Mario Negri di Milano e a ricercatori della Sapienza di Roma perché lo stiamo studiando. Qui nessuno beve, fuma, forse anche questo può avere aiutato. All’inizio ho dovuto affrontare dei casi di crisi di panico, due in tutto“.
Un’area residenziale ad hoc per i positivi
La comunità ha attivato misure ad hoc per i positivi al Covid: “Abbiamo creato dentro San Patrignano un’area residenziale dove trasferivamo tutte le persone con tampone positivo – spiega Boschini -. Qui i contagiati dal Covid potevano stare all’aria aperta, giocare tra loro, fare ginnastica. Abbiamo fatto dei test psicologici per vedere cosa è cambiato nelle persone prima e dopo il Covid, ma dobbiamo ancora elaborarli. Sicuramente non c’è stato un aumento del consumo di psicofarmaci, basso prima come adesso, né un incremento degli abbandoni della comunità”.
A colpire più che altro la comunità, si legge nell’intervista, sono state le conseguenze sociali da Covid. “All’interno di San Patrignano quest’anno è stato un anno stranissimo – commenta Boschini – , fatto di fasi diverse: il primo periodo, iniziato a marzo scorso, i ragazzi lo hanno sofferto per la paura legata alla poca conoscenza del virus. Hanno subito l’impossibilità di ricevere visite o andare, come previsto in una seconda parte del percorso, qualche volta a casa. Hanno subito molto la sospensione delle scuole e dei corsi di formazione. Tutto è stato fermo, cristallizzato“.
La comunità si è stretta più forte in risposta ai 450 casi di Covid
E quando poi sono emersi, via via, i 450 casi di positività, la comunità ha risposto. “La Comunità è diventata una comunità nel vero senso della parola – spiega Boschini –, dove quelli che stavano bene lavoravano molto di più per compensare il lavoro di chi non poteva, soprattutto nei settori produttivi mentre gli altri hanno dovuto subire un periodo idi inattività, che per una persona con dipendenze è molto doloroso. Ci sono persone che, ad esempio vanno in crisi il sabato e la domenica, quando possono stare ferme e pensare“.