Draghi: potrebbe essere necessario riaprire le centrali a carbone

La decisione prospettata oggi da Draghi nella sua informativa al Parlamento, potrebbe scatenare forti polemiche anche dal punto di vista politico. L’Italia alla conferenza sul clima di Glasgow dell’anno scorso si era, infatti, impegnata ad accantonare una tecnologia fortemente inquinante.

Attualmente nel Paese vi sono ancora sette centrali a carbone attive: si tratta della centrale “Eugenio Montale” di Vallegrande (La Spezia), ls più grande d’Italia, la centrale “Andrea Palladio” di Fusina (Venezia), la centrale di Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia, la centrale “Federico II” di Brindisi e la centrale “Grazia Deledda” di Portoscuso (Sud Sardegna), la centrale di di Monfalcone (Gorizia) e quella di Fiume Santo (Sassari). Le prime cinque appartengono all’Enel, quella di Monfalcone alla A2A e l’ultima, quella di Fiume Santo, al gruppo energetico ceco EPH.

Oggi sono sette gli impianti che producono poco più del sei massimo sette per cento dell’elettricità usata in Italia e secondo il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima firmato nel 2019, andavano dismesse entro il 2025 o riconvertirle in centrali a gas naturale.

Una decisione del Governo di ritornare allo sfruttamento del carbone nei sette impianti presenti sul territorio rischia di provocare le proteste delle comunità. Cittadini che sono già inferociti contro la prospettata trasformazione delle centrali dal carbone al gas: amministrazioni locali e ambientalisti vorrebbero infatti che gli impianti venissero ‘semplicemente’ dismessi perché anche il gas continuerebbe a causare emissioni di gas serra, anche se in misura minore.

In realtà, però, a dicembre del 2021, di fronte all’aumento preoccupante dei prezzi del gas, l’Enel aveva provveduto a riaccendere le unità a carbone della Centrale Eugenio Montale” di Vallegrande, in provincia di La Spezia. Dedtimobanslogo per quella della A2A a Monfalcone, anch’essa accesa per pochi giorni prima di venire nuovamente spenta dai tecnici.

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