Olena Kushnir era un Sergente Maggiore e medico della Guardia Nazionale ucraina ed è morta a Mariupol nel giorno di Pasqua. Olena era una delle cento donne combattenti che sono rimaste nella città assediata e continuamente bersagliata. Molte di loro sono medici, combattono e al tempo stesso prestano le proprie cure ai feriti, sia militari che civili. Operano in condizioni disastrose trasformando i rifugi in ospedali improvvisati, a volte avendo con loro anche i figli.
Olena, dopo aver perso il proprio marito ucciso in combattimento, aveva provveduto a mettere in salvo il figlio piccolo attraverso uno dei pochi e fragili corridoi umanitari di Mariupol. Poi però, senza esitazione, era tornata a combattere. Nonostante tutto, nonostante avesse perso già il marito negli scontri dei primi giorni di occupazione russa.
Per Olena difendere Mariupol era l’unica possibile cosa da fare costi quel costi: “Non compatitemi, sono un medico, una combattente, sono ucraina, faccio il mio dovere“, ha detto ad un’amica pochi giorni prima di morire in una chat riportata da Mariupol today e che ha anche diffuso un video appello che la sergente aveva girato per sensibilizzare l’occidente.
Nel video, girato in un rifugio segreto e bersagliato dalla propaganda russa che sui suoi canali festeggia la sua morte, Olena compare con la divisa militare e chiede insistentemente di permettere l’evacuazione di Mariupol “dando l’opportunità di portare medicine alla popolazione, allontanare i tanti feriti e permettere una degna sepoltura ai morti“.
Olena ha descritto anche la distruzione totale della città e il disastro umanitario:”A Mariupol ci sono ancora persone, sono nelle cantine, sono sotto terra, hanno bisogno di tutto” – ha scritto Olena sui social in un suo ultimo appello – “Se non volete salvare Mariupol, salvate i suoi cittadini vi prego!!! Non vogliamo essere eroi e martiri, non potrete dire che non sapevate perché sapevate e potevate agire”.