Fave e Favismo: facciamo chiarezza

Siamo arrivati in quel periodo dell’anno dove alcune persone quasi non possono uscire di casa, a causa non di una influenza o di un virus ma delle fave fresche.

La sua raccolta di massa è prevista per maggio-giugno ma alcuni esemplari si possono trovare in vendita già dalla metà di febbraio. Sono quelle coltivate in serra. 

Da questo momento e per tutto il periodo estivo compreso, molte persone sono obbligate a dover fare i conti con il loro problema: il favismo. A differenza di una “normale” intolleranza o allergia, il favismo è una alterazione del metabolismo dei pentosiofosfati, una via metabolica che si occupa di produrre alcune sostanze importanti per l’organismo. 

Un soggetto fabico può sentiere la presenza delle fave anche a 200 metri di distanza. Ma non tutti, per non dire nessuno, si preoccupa di questo. Anche nei supermercati o nei mercati all’aperto, dove vige l’obbligo di avvisare i clienti della presenza di fave fresche, la cosa è poco seguita. Tante persone non sanno nemmeno dell’esistenza del favismo.

Il deficit di G6PD, di cui il favismo è la principale manifestazione, è molto più frequente di quanto si pensi: rappresenta infatti la forma più comune di deficit enzimatico nella specie umana ed è particolarmente diffuso nell’area del bacino del Mediterraneo, ma anche in Medio Oriente e Asia meridionale. In Italia l’incidenza di deficit di G6PD è dello 0.4% nell’area continentale, mentre nelle isole risulta dell’1% in Sicilia e del 14.3% in Sardegna, con un picco del 25.8% nella provincia di Cagliari. 

L’ingestione, l’odore o anche il contatto con fave o piselli freschi può scatenare, in chi ne soffre anemia, sintomi come pallore, febbre, fino a compromettere le sue condizioni di salute scatenando in loro una crisi emolitica acuta. L’Istituto Superiore della Sanità aveva a suo tempo chiarito che ‘l’inalazione di polline nei campi di fave può provocare malessere nei soggetti esposti affetti da deficit di G6PD”.

Ecco perché tanti comuni hanno vietato la coltivazione fino a 300 metri da centri abitati, scuole e ospedali. Come ad esempio il Comune di Roma che ha legiferato con l’ordinanza 16.3.10 n. 75, a firma dell’allora Sindaco Alemanno. “Laddove è introdotto un generale divieto di coltivare fave in numerose aree metropolitane, e più in generale in prossimità dei centri abitati. Prevedendo altresì l’obbligo di posizionare bene in vista ‘un cartello di dimensioni minime di cm. 30 x 40 con la seguente dicitura: “AVVISO PER I CITTADINI A RISCHIO DI CRISI EMOLITICA DA FAVISMO: IN QUESTO ESERCIZIO COMMERCIALE SONO ESPOSTE FAVE FRESCHE SFUSE”.

Ordinanza ormai ultra decennale ma che in molti non rispettano come per esempio a Milano, Bologna, Napoli, Orvieto.

Far capire anche ai ristoratori che il cibo che deve mangiare un fabico non deve essere contaminato in nessun modo con le fave è ogni volta molto faticoso.

Il favismo può essere leggero ma può anche essere fatale. Basti pensare che i fabici non possono ingerire anche una serie di medicinali a causa della presenza al loro interno del principio attivo delle fave.

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