Ferrara, lotta al caporalato: 2 arresti e 100mila euro sequestrati

Un sistema di caporalato rodato, dal 2018. Ha subito un nuovo colpo, questa mattina con l’arresto di due cittadini pachistani. Il reato contestato dai Carabinieri è intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravata dalla minaccia e dalla violenza c.d. “Caporalato” (art. 603 bis codice penale).

Nel contesto anche un sequestro preventivo di beni per 100mia euro circa. Vincolate sia le somme giacenti su conti correnti bancari, utilizzati da uno degli indagati e da 5 società a lui riconducibili per movimentare i proventi dell’attività illecita, sia un appartamento, intestato alla moglie di uno degli indagati, sito a Portomaggiore, Ferrara, destinato ad ospitare i lavoratori in precarie condizioni igienico-sanitarie.

Altri 3 arresti già nello scorso aprile

Le indagini, che hanno condotto agli arresti di oggi, scaturiscono da una precedente attività investigativa, conclusasi nell’aprile 2022, che aveva portato all’arresto di altri 3 cittadini pachistani, domiciliati nel Portuense, per analoghi fatti, posto in essere da un sodalizio criminale concorrente.

Agli odierni arrestati viene contestato il reclutamento di manodopera allo scopo di destinarla al lavoro in aziende agricole terze. Contesti lavorativi  talvolta compiacenti rispetto alle condizioni di sfruttamento. Agli arrestati si contestano condotte di violenza e minacce. Le complesse e prolungate indagini, hanno permesso di documentare il reclutamento illecito di oltre 80 lavoratori, impiegati in più circostanze in diverse aziende agricole della zona e del ravennate.

Tra gli arrestati, il primo A.Z. 57 enne pachistano – riconosciuto dalle sue vittime come il “capo” – è stato tradotto in carcere, mentre l’altro I.F. 34 enne pachistano – con mansioni logistiche e contabili – individuato come “segretario” è stato collocato agli arresti domiciliari. I due, agendo in concorso tra loro, sono sospettati di essere i fornitori di manodopera sulla base delle richieste di vari imprenditori agricoli. In particolare, agli indagati viene contestata reitarata violazione in termini di paga, ore e trattamento umano.

In particolare, la reiterata retribuzione in modo palesemente difforme dai contratti collettivi con paghe a fronte di 10/14 ore di lavoro giornaliere pari a 5 euro/ora. I restanti 5 euro venivano trattenuti  dagli arrestatiper ogni lavoratore. Quanto alla normativa di settore, i reclutati lavoravano 7 giorni su 7, anche 16 ore al giorno con 10 minuti di pausa pranzo, senza possibilità di fare soste, neanche per bere. Ultima contestazione riguarda il trattamento umano: diversi i mezzi di intimidazione, la minaccia ai lavoratori di non essere più chiamati a lavorare, il trattenimento dell’intero salario giornaliero dei lavoratori ritenuti indisciplinati, la minaccia di ogni forma di ritorsione o l’uso della violenza fisica nei confronti di coloro che paventavano l’intenzione di denunciare i fatti ai Carabinieri. In più occasioni i lavoratori “meno efficienti” venivano sanzionati con pene corporali (schiaffi, bastonate) ovvero veniva trattenuta parte del compenso loro dovuto.

In caso di equo pagamento, i lavoratori erano costretti a restituire una parte ai caporali

Al fine di garantirsi il pieno controllo sui connazionali, gli indagati mantenevano, in via esclusiva, i rapporti con gli imprenditori agricoli, presso cui i lavoratori venivano impiegati prevalentemente “in nero”. Nei rari casi in cui venivano formalizzati i contratti di lavoro (con l’intermediazione delle società riconducibili agli indagati) e le spettanze quindi versate mediante bonifico, una parte della somma (pari a 5/6 euro per ogni ora di lavoro) veniva riconsegnata in contanti dalle vittime ai “caporali”. Quando, invece, il pagamento avveniva totalmente “in nero”, l’imprenditore da un lato effettuava direttamente il versamento al lavoratore, e dall’altro consegnava ai “caporali” la quota per la loro mediazione, la quale erodeva, anche in questo caso, quasi la metà del trattamento economico dei lavoratori.

Trattenuti circa 250 euro per vitto e alloggio

Gli approfondimenti investigativi, articolati su mesi di osservazioni, pedinamenti, escussioni ed attività tecniche, hanno documentato come la condotta si sia protratta dal 2018, senza soluzione di continuità, sino ad oggi. E’ stato dimostrato che il reclutamento e l’impiego dei lavoratori ad opera degli arrestati non avveniva occasionalmente, bensì sfruttando un modello ben strutturato, che prevedeva l’impiego di mezzi per il trasporto dei lavoratori nei campi e la cura di tutti gli aspetti tecnico-pratici del lavoro. Gli stessi indagati provvedevano altresì a dare vitto ed alloggio ai connazionali sfruttati, utilizzando abitazioni o capannoni industriali dismessi, in cui venivano stipate decine di persone in condizioni disumane (materassi a terra, 40/50 persone con un solo bagno etc.), sistemazione alloggiativa per la quale erano obbligati a corrispondere un canone di locazione variabile tra i 120 e i 150 euro al mese, oltre al vitto per il quale era richiesto un importo di 95/100 euro ciascuno, il cui importo complessivo veniva trattenuto direttamente dallo stipendio.

Istruiti su cosa dire in caso di controlli e di incidenti

Rodato anche il sistematico indottrinamento dei lavoratori sfruttati, sulla versione da fornire in occasione delle eventuali verifiche da parte degli ispettori del lavoro in merio all’elenco di benefici mai visti come giorni di riposo, ferie e straordinari. Inoltre venivano date precise disposizioni che, in caso di incidente sul luogo di lavoro, l’operaio doveva essere portato al Pronto Soccorso, ove non doveva riferire le reali modalità con cui si era ferito.

Nel contesto sopra riportato va evidenziato come, a seguito delle novelle normative degli ultimi anni, la pena prevista per lo sfruttamento della manodopera – nella contestata ipotesi aggravata da violenza e minaccia – raggiunga un massimo edittale di 8 anni di reclusione, ed altresì come il reato preveda la punibilità non solo per chi recluta, ma anche per l’impresa agricola che impiega la manodopera irregolare.

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