Fuga di cervelli dall’Italia, l’emorragia non si arresta

Non accenna purtroppo a fermarsi l’emorragia di fuga di cervelli dall’Italia, un fenomeno, che, da tempo, sta caratterizzando il nostro Paese.

L’ultimo grido di allarme è contenuto nel voluminoso documento della Corte dei conti “Resoconto sul sistema universitario”. Una fotografia che comprende le 67 università statali sparse sul territorio nazionale, includendo le 3 Scuole Superiori e gli altrettanti Istituti di Alta Formazione.

Dal Resoconto della Corte dei conti emerge con la crudezza delle cifre  la crescita del 42% circa rispetto al 2013 del numero di laureati italiani, che decidono di espatriare dopo il conseguimento del titolo accademico.

La fuga di cervelli è certamente un fenomeno molto preoccupante in termini di impoverimento del capitale umano del Paese. Sia perché la sua incidenza appare ancor più pesante. Se si tiene a mente la percentuale contenuta di laureati appartenenti alla fascia generazionale compresa tra i 30 e i 34 anni (27,6% contro la media dell’Unione Europea del 40,3%). Sia perché va ad incidere negativamente su un  secondo ritardo del Paese rispetto alla media UE costituito dal minore numero dei laureati in discipline scientifiche Stem – scienze, tecnologia, ingegneria e matematica (24% contro il 25,4%). Infine, perché il fenomeno non trova neanche una parziale compensazione nell’afflusso dall’estero di personale altrettanto altamente qualificato .

Dimensione economica per la fuga di cervelli

Quanto alla dimensione economica la fuga di cervelli si rivela doppiamente negativa. Da un lato deve considerare il cospicuo impiego di risorse per la formazione di questi giovani. Un investimento il cui frutto viene poi raccolto da altri al di fuori del Paese; dall’altro valutare anche l’impatto negativo in termini occupazionali per la gamma professionale più qualificata.

La fotografia del sistema universitario italiano scattata dalla Corte dei Conti mette anche in evidenza altre sue disfunzioni, tra cui un paio. La prima riguarda la mancata razionalizzazione del sistema dei dipartimenti. Infatti, la riforma Gelmini del 2010, introdotta per favorire la riduzione delle vecchie facoltà e la conseguente semplificazione amministrativa, si è di fatto tradotta in una proliferazione ancor più marcata dei dipartimenti.

Non si può, poi, passare sotto silenzio il ricorso sistematico alla categoria dei professori a contratto che dovrebbero costituire un’eccezione per cercare di tamponare l’emorragia continua di docenti e ricercatori. Un aspetto, quest’ultimo, di valenza negativa sulla qualità complessiva dell’offerta didattica universitaria e su cui è auspicabile un decisivo cambio di passo in virtù dell’approvazione del testo unificato del reclutamento universitario che ha avuto il via libera dalla Commissione Istruzione della Camera dei Deputati.

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