Il Premier giapponese Fumio Kishida ha comunicato l’intenzione di avviare un processo di eliminazione graduale degli approvvigionamenti di petrolio dalla Russia. Questo, in linea con quanto discusso nel vertice online dei Paesi del G7. “La corrispondenza dei valori universali e fondamentali delle Nazioni non è mai stata così importante come adesso, con il mondo che si trova a un bivio storico”, ha detto Kishida a NHK Tv.
Il Premier ha ammesso che si tratta di una decisione difficile per il Giappone. Il Paese, infatti, è privo di risorse naturali e in gran parte dipendente dalle importazioni di materie prime dopo l’incidente di Fukushima. Quello che è più importante – però – è “lo spirito di solidarietà tra i Paesi del G7”.
Secondo i dati dell’Organizzazione Nazionale del Commercio (JETO), nel 2021 la Russia ha contribuito a circa il 3,6% delle forniture di petrolio in Giappone. Dell’8,8% invece dell’approvvigionamento di gas naturale. Importanti aziende del Sol Levante rimangono comunque legate al progetto Sakhalin-2 in Russia sul gas naturale liquefatto (LNG), che lo stesso Kishida nelle scorse settimane ha definito “vitale”.
Prima di Fukushima 54 reattori producevano il 30% del fabbisogno del Paese
Le principali società di intermediazione nipponiche, tra cui Mitsui & Co. e Mitsubishi Corp, possiedono rispettivamente il 12,5% e il 10% nel prospetto. Sarebbe lo stesso dal quale la britannica Shell ha annunciato l’abbandono in marzo. È controllato al 50% dalla società di stato russa Gazprom. Prima dell’incidente nucleare di Fukushima, nel marzo 2011, che ha provocato lo spegnimento dei quattro quinti degli impianti atomici nell’arcipelago, in Giappone erano presenti 54 reattori capaci di generare circa il 30% del fabbisogno energetico del Paese. Sakhalin-2 ha visto l’inizio delle operazioni in Russia nel 2009, con una capacità di circa 10 milioni di tonnellate di LNG esportate e distribuite principalmente tra Giappone, Cina a Corea del Sud.
(foto di Adnkronos)