Il paradiso può attendere? Quello fiscale no. Come vengono spesi i soldi dei fedelii?

Nelle settimane scorse si è sentito tanto parlare di Cecilia Margogna e dell’ex-Cardinale Angelo Becciu in merito ad alcuni bonifici pari a 500 mila euro ricevuti dalla donna da parte delle casse della Segreteria Vaticana.

La Margogna titolare della società Logsic,  che non risulta avere nemmeno una sede reale ma solo una casella postale in Slovenia, ha dichiarato di aver ricevuto questa somma, esattamente 490 mila euro, per le missioni umanitarie e di intelligence svolte o da svolgersi per conto di Monsignor Becciu.

Autoproclamatasi parte dei Servizi Segreti dello Stato del Vaticano, Cecilia Marogna è, oggi, indagata per peculato e appropriazione indebita aggravata. Ma quando, come e perchè è uscito il nome della “dama del cardinale”?

Parte tutto dallo scandalo che investe l’ex numero due della Segreteria di Stato Vaticana l’ex-Cardinale Becciu a proposito in dell’acquisto, per circa 200 milioni di dollari, di un immobile a Londra e situato in Sloane Avenue. L’immobile sarebbe stato  pagato con fondi erogati dagli Affari Generali della Segreteria di Stato. La Guardia di Finanza ha iniziato le indagini già nel mese di luglio scorso, con un blitz nello Studio Limbonati Jaeger, dove lavora l’avvocato Nicola Squillace. Quest’ultimo, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto un ruolo chiave nella riunione che si svolse a Londra nel novembre del 2014, in merito  all’acquisto dell’immobile in Sloane Avenue. Tra le varie cose, sembra accertato che Becciu abbia dirottato a proprio favore ingenti  somme,  derivanti dalle delle elemosine e dall’8 per mille della CEI, verso alcune cooperative gestite dai suoi fratelli in Sardegna.

Dutrante l’espletamento di queste indagini, si  scopre che dei quasi 500 mila euro, la Margogna ne avrebbe spesi circa 220 mila per acquisto di materiali di lusso,  come poltrone, borsette fino ad arrivare a prodotti per la cura della persona  molto costosi.
In una serie di svariate interviste la  Margogna ha sempre dichiarato di aver iniziato a lavorare già due anni prima dal ricevimento dei bonifici, anticipando, a suo dire di tasca propria, i pagamenti per le missioni umanitarie; così quando le somme sono state accreditate nei conti correnti della Società, l’indagata si è ripresa gli anticipi più la parte dedicata al proprio  compenso, in realtà mai dichiarato alla Segreteria Vaticana come riportato da una sua intervista rilasciata alla trasmissione Le Iene.

In tutto questo, nei giorni successivi allo scandalo, l’ex porporato ha dichiarato di essere stato truffato dalla donna anche se non si capisce come un personaggio del suo calibro, già Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e soprattutto nominato nel 2011 da papa Benedetto XVI Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato vaticana, tra le cariche più importanti quindi che riguardano l’attività politica e diplomatica della Santa Sede, abbia potuto fidarsi di una donna che sarebbe entrata in Vaticano inviando nel 2015 una semplice mail di presentazione del suo lavoro e chiedeva un’opinione all’alto prelato, esperto ex nunzio apostolico, su alcune sue analisi geopolitiche su questioni africane legate ai “problemi di sicurezza delle Nunziature e delle Missioni”.

Il 14 ottobre scorso,  dopo l’ordine di arresto, richiesto dalla Gendarmeria vaticana, diramato dall’Interpol su tutto il territorio nazionale ed eseguito dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della GdF di Milano, la signora  Cecilia Marogna venne  arrestata  e ristretta nel carcere di San Vittore. Vi rimarrà  fino al 30 ottobre, giorno in cui uscirà dal carcere con obbligo di firma. Uno dei suoi legali, infatti, ne aveva contestato l’arresto, convalidato dalla stessa Corte con conseguente misura cautelare, adducendo come motivazione  l’articolo 22 dei Patti Lateranensi. In base alla legge che regola i rapporti tra la Repubblica Italiana e lo Stato del Vaticano,  Cecilia Marogna, infatti,  “non poteva essere arrestata dato che l’accordo tra Italia e Vaticano consente l’estradizione dal Vaticano all’Italia, ma non quella dall’Italia al Vaticano”.

Ci preme ricordare che le casse dello Stato del Vaticano vengono rimpinguate annualmente da donazioni e offerte che arrivano da milioni di fedeli sparsi in tutto il mondo e da quello che in Italia conosciamo tutti come 8×1000,  cioè la quota d’imposta sui redditi soggetti IRPEF, che lo Stato italiano distribuisce, in base alle scelte effettuate nelle dichiarazioni dei redditi, fra sé stesso e le confessioni religiose con cui ha stipulato un’intesa.  Nel solo 2019 le casse vaticane hanno ricevuto dallo Stato Italiano tramite l’8×1000 un importo pari a 1.133.074.425 euro che dovrebbero essere poi distribuiti nei progetti di cooperazione allo sviluppo e di altri selezionati dalla CEI.

Vista la vicenda una domanda sorge spontanea: quanti poi di questi soldi  vengono legittimamente spesi per le  missioni e le opere pie e quanti, invece,  per l’acquisto di palazzi a Londra o nel mondo e per mantenere magari una “dama” che si spera rimanga nascosta per sempre?

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