L’editoriale del Direttore.
Cosa accadrebbe se il Premier Mario Draghi andasse al Colle, mettendo tutte le forze politiche d’accordo? Chi potrebbe salire al posto di comando della nave “Italia” in un momento delicato e difficile come quello che il Paese sta affrontando, sia a causa dell’emergenza sanitaria che per la gestione dell’economia e soprattutto dei fondi del PNRR?
Le forze politiche sembrano preoccuparsi più dell’aspetto politico della questione, impegnate a cercare un candidato alternativo al Presidente uscente Mattarella e nel tentativo disperato di lasciare Draghi a Palazzo Chigi, sempre che il Premier sia ovviamente del parere di accettare una simile decisione.
La domanda che sentiamo ripetere in questi giorni su “Mario” è sempre la stessa: al Paese servono di più sette anni di Draghi al Quirinale o serve di più dare continuità alla sua azione di governo, lasciandolo a Palazzo Chigi sino alla fine naturale della legislatura?
Certo è che nelle stanze dei Palazzi si succedono incontri e riunioni, si scaldano i telefonini per l’intreccio di chiamate tra i leader e i fedelissimi e intanto stranamente e forse non a caso Mario Draghi, nel bel mezzo del caos politico e dell’amministrazione del Paese, trova il tempo di convocare e ascoltare personalità che in realtà sarebbero fuori dalla bagarre politica di questi giorni. Riceve a Palazzo Chigi dapprima il Presidente della Confindustria Carlo Bonomi e solo ieri mattina riceve il Presidente del Gruppo Stellantis, il colosso automobilistico marchiato made in Italy – made in France, John Elkan.
Incontri previsti dall’agenda istituzionale, riferiscono fonti governative e le segreterie dei diretti interessati, ma non sembra un caso che da qualche giorno si sia fatta strada l’idea che sia inevitabile l’elezione di Draghi al Colle e come panacea tra i partiti che sia ancora una volta un tecnico, ovviamente di fiducia dell’attuale Premier, la figura a cui affidare la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Del resto i numeri ci dicono che nessuno dei due schieramenti potrà autonomamente nominare, con la certezza del successo, un proprio candidato e quindi, per la nomina del Capo dello Stato, fermo restando che non sembrerebbe (il condizionale in politica è d’obbligo) praticabile un Mattarella bis, l’unica strada che metterebbe tutti d’accordo è il voto unanime su Mario Draghi. Resta il rebus su chi, in questo caso, dovrebbe occupare la poltrona di Premier che, secondo l’opposizione, dovrebbe uscire dal cilindro delle elezioni, mentre secondo altri, non avrebbe senso mandare gli italiani al voto in questo momento di emergenza, visti i costi che solitamente comporta l’organizzazione di una campagna elettorale e le successive elezioni: sarebbe un gesto irresponsabile e pericoloso per la stabilità e l’economia del Paese.
E poi diciamolo francamente: in questo momento nessuno dei due schieramenti è realmente pronto a redigere liste di candidati, a parte la convergenza di Fratelli d’Italia su Giorgia Meloni e su alcuni dei suoi iscritti. Per comprendere la disomogeneità politica dei Parlamentari, basti pensare che, in questo momento, il Gruppo Misto del Parlamento, a cui aderiscono i fuoriusciti dai vari Partiti, ha il numero di iscritti più alto della storia repubblicana. Segno inequivocabile di un malcontento generalizzato tra i membri dei vari schieramenti.
Dunque, che fare? Si parla e si sentono rumors, più o meno attendibili, sull’ipotesi e sul senso di un possibile Governo fotocopia, con un nuovo pilota, ancora una volta un tecnico, al posto di comando. Sarebbe questo, riferiscono fonti qualificate all’Adnkronos, lo schema sul quale dovrebbe reggere l’accordo di legislatura che consentirebbe a Mario Draghi di lasciare Palazzo Chigi per il Colle.
Certo è che se questo è il senso di tutto ciò a cui gli italiani stanno assistendo e se questa fosse l’unica strada per eleggere il Capo dello Stato, mettendo per l’ennesima volta il Governo del paese nelle mani di un tecnico, giunge spontanea una riflessione. Quale potrebbe essere il senso di un Parlamento così numeroso e oneroso, incapace di esprimersi politicamente per designare pochi mesi fa il Capo dell’Esecutivo ed oggi per scegliere il nome di un candidato per l’elezione del nuovo Capo dello Stato? Una folta compagine politica che riesce a vivere il confronto solo ed esclusivamente sull’onda della bagarre e non della ragione. Un Parlamento che in tre anni, dal 2018 al 2021, non è riuscito ad assicurare al Paese una maggioranza stabile, tanto che ha dovuto sciogliere tre maggioranze di Governo. Parlamentari che, a fronte dell’instabilità politica e del mancato rispetto delle promesse elettorali, hanno perso drasticamente e realisticamente credibilità e contatto con il popolo che li ha eletti. Senatori e Deputati che, pur vivendo un momento storico di epocale difficoltà e complessità, non riescono a trovare soluzioni ragionevolmente e politicamente condivise, ma badano solo alla logica della contrapposizione, in cerca di un consenso tra gli elettori che, in verità, nelle ultime elezioni, hanno dimostrato di non essere affatto inclini a concedere.